Sono 2.784 i rom e sinti presenti in Emilia-Romagna – censiti al 31 dicembre 2017 -, pari allo 0,06% della popolazione totale residente. Un dato emerso in commissione Politiche per la salute e politiche sociali, presieduta da Paolo Zoffoli, in cui è stata illustrata da tecnici di Giunta e Assemblea legislativa la relazione riguardante le norme per l’inclusione sociale (clausola valutativa).
Gli appartenenti alla comunità sinta rappresentano la stragrande maggioranza, con 2.752 persone censite. Solo 17 i rom (di cui 15 con cittadinanza italiana). La provincia di Reggio Emilia si conferma il territorio con il numero più elevato: nel reggiano, infatti, abita poco meno di un cittadino rom e sinto su due di quelli presenti in Emilia-Romagna (in totale, sono 1.332, il 47,8%). A Piacenza sono 190 (6,8%), a Parma 98 (3,5%), a Modena 472 (17%), a Bologna 497 (17,9%), a Ferrara 59 (2,1%), a Rimini 136 (4,9%), nessuno a Ravenna e a Forlì-Cesena. Di queste persone, il 99,4% ha cittadinanza italiana, lo 0,54% è di altri Paesi (Romania, Bosnia, Erzegovina, Marocco, Pakistan, India), mentre lo 0,04% è apolide. Il 38,9% dei presenti censiti risulta sprovvisto di titolo di studio, il 27,9% ha la licenza di scuola primaria e il 30,7% ha il diploma di secondaria di primo grado. Al 31 dicembre 2017, risultano iscritti a vari ordini e gradi di studio 436 minori. I 51 iscritti al nido e alla scuola dell’infanzia rappresentano il 51,5% dei minorenni da 0 a 5 anni. Il 64% della popolazione di 16-17 anni è studente, mentre il 36% non studia né lavora. Per quanto riguarda l’occupazione, 184 maschi e 130 femmine hanno un impiego. Fra coloro che lavorano, il 58,6% svolge attività di lavoro autonomo, soprattutto nell’ambito delle giostre, luna park, giochi gonfiabili. Segue il lavoro stagionale, che vede un occupato su 5. Il 16,9% lavora nel commercio (prevalentemente gastronomia) e il 15,3% nei servizi (principalmente pulizie e manutenzione del verde).
Complessivamente, sono stati rilevati 144 insediamenti: 132 le aree sosta e 112 le micro aree. La precedente rilevazione, nel 2015, contava 182 insediamenti. L’analisi del numero di persone presenti per ogni singolo insediamento fa emergere che le aree più grandi, che hanno una presenza tra le 71 e le 130 persone, sono cinque: tre sono a Reggio Emilia, una a Bologna e una a Piacenza. Sono invece 29 gli insediamenti che raccolgono tra le 21 e le 40 persone: due a Piacenza, 15 nella provincia di Reggio Emilia, 8 tra Modena e provincia, due nel Bolognese e due nel Riminese. Gli insediamenti più piccoli, che raccolgono fino a 20 persone, sono in tutto 87: 11 a Parma, 54 nel Reggiano, 8 nel Modenese, 5 nel Bolognese, una a Ferrara e otto a Rimini.
“Prendiamo atto – ha spiegato Daniele Marchetti della Lega – che la Regione ha effettuato un censimento di rom e sinti: quando lo propose Salvini non venne ascoltato. Ma credo sia surreale che la commissione oggi sia qui a discutere delle scelte messe in campo per l’inclusione di queste persone, perché credo che se chiediamo ai cittadini fuori che cosa ci si aspetta dalla commissione Sanità, secondo me chiunque risponderebbe di migliorare la sanità. Invece, ci ritroviamo a discutere di una clausola valutativa discriminante verso i cittadini emiliano-romagnoli. Ad esempio, queste micro aree possono andare in deroga a qualsiasi strumento urbanistico. E l’alternativa alla micro area è la casa popolare”. Fabio Callori (Fratelli d’Italia) chiede di “i costi sostenuti dalla Regione e dai Comuni per aiutare queste persone” perché, gli fa eco Matteo Rancan (Lega), “noi stiamo dando tutto a queste persone, ma è giusto che chi paga le tasse in questa regione abbia dei servizi migliori. Provate a mettervi nei panni di un giovane emiliano-romagnolo che ha bisogno di lavoro e vede quello che state facendo. Perché creare differenze di questo tipo?”. Andrea Liverani, anche lui esponente del Carroccio, vuole sapere “chi controlla che i bambini vengano mandati effettivamente alla scuola”.
Le repliche della maggioranza non si fanno attendere. Il primo a rispondere agli attacchi è Giuseppe Boschini (Partito democratico): “Non vorrei portare questo dibattito sul piano della semplificazione, ma dal punto di vista del cittadino che si sente insicuro, non è meglio averli sotto controllo in un posto individuato, piuttosto che averli in un campo dove non si sa chi paga la luce? Noi stiamo facendo una politica che aiuta delle persone a integrarsi. Se vogliamo una situazione regolarizzata dobbiamo trovare soluzioni e fare politiche per migliorare l’integrazione. Non stiamo togliendo niente a nessuno”. Silvia Prodi (gruppo Misto) si dice “allibita dalla mistificazione politica, bisogna studiare le cose prima di parlare. L’invasione è tutta nella testa di chi ne parla, queste persone sono cittadini emiliano-romagnoli a tutti gli effetti”. Secondo Katia Tarasconi (Pd) “è ingiusto arrivare a dire di chiudere i campi senza tenere conto dei bambini che ci vivono” e per Igor Taruffi (Sinistra italiana) “se si utilizzano le commissioni solo per propaganda politica e per comizi, sviliamo il nostro lavoro”. A chi contesta i servizi riguardanti anche la salute concessi a rom e sinti, replica Antonio Mumolo (Pd): “Il diritto alla salute non è individuale ma collettivo, è interesse di tutti che ognuno venga curato”.
Secondo gli esponenti del Movimento Cinque Stelle “i rom e i sinti sono persone che hanno bisogno si sostegno- sottolinea Andrea Bertani-. Quando c’è un benessere condiviso da tutti significa che tutti stanno meglio, se ci sono delle nicchie in cui alcuni vivono male o delinquono, tutta la comunità ne risente”. Infine, la pentastellata Raffaella Sensoli sottolinea come “se non viene spiegato lo scopo della legge, ovviamente in certi quartieri si possono alimentare paure”.
(Margherita Giacchi)