Una trentina di pannelli per raccontare i campi di sterminio nazisti, sottolineando aspetti nuovi e incentrando la documentazione storica sul dramma di ogni singola persona.
Grazie al passaggio dell’Emilia-Romagna da “zona arancione” a “zona gialla”, è finalmente possibile visitare “Auschwitz-Birkenau 1940-1945. Campi di concentramento e centro di messa a morte”, la mostra realizzata in occasione della Giornata della Memoria 2021 dal Mémorial de la Shoah di Parigi e dal coordinamento conCittadini, il progetto di educazione dell’Assemblea legislativa che ne ha curato la versione italiana.
La mostra sarà allestita e visitabile al pubblico dal 15 febbraio al 28 aprile nei locali del Museo Ebraico di Bologna, in via Valdonica, nel rispetto di tutte le normative antiCoronavirus.
Filo conduttore dell’esposizione è il narrare la vita dei singoli e “il campo” nel suo insieme, la tragedia delle vittime e le parole dei (pochi) sopravvissuti: un pellegrinaggio nella memoria che serve a diffondere nelle nuove generazioni gli anticorpi verso l’abominio dell’antisemitismo.
La mostra inquadra i diversi contesti delle deportazioni dall’Italia verso Auschwitz, facendo brevemente riferimento ad alcune vicende individuali, al destino dei bambini deportati e a quelli sopravvissuti. Completano l’approfondimento riguardante l’Italia due pannelli sui testimoni, dedicando attenzione ai sopravvissuti che nell’immediato dopoguerra affidarono alla scrittura la rielaborazione della propria esperienza (Primo Levi, Liana Millu, Giuliana Tedeschi, Frida Misul), contribuendo a fondare la narrazione della Shoah in Italia.
Per l’Italia, Auschwitz è stato il principale luogo di deportazione e di assassinio degli ebrei catturati nella penisola e nel Dodecaneso italiano (principalmente a Rodi) dopo l’8 settembre 1943, sotto l’occupazione tedesca e la Repubblica sociale italiana. Furono complessivamente più di 7.800 a finire ad Auschwitz e poco più di 500 a sopravvivere. Su 776 giovanissimi deportati, che all’arresto avevano un’età inferiore a 14 anni, solamente 25 bambini e bambine riuscirono a rimanere in vita.
La storia della deportazione italiana ad Auschwitz include anche circa un migliaio di non ebrei, a larga maggioranza donne, che finirono ad Auschwitz prevalentemente con la categoria di deportati per motivi politici.
Fra loro molte donne, che partirono da Gorizia e Trieste dove erano state catturate perché coinvolte direttamente nella Resistenza, oppure perché fiancheggiavano le bande partigiane fornendo vari tipi di aiuto e collaborazione.
Nella maggioranza dei casi però, erano donne che avevano un parente (marito, padre, fratello, cugino) nella
Resistenza e che furono, dunque, arrestate e deportate come misura preventiva messa in atto dalle autorità naziste per dissuadere la popolazione civile dal fornire sostegno ai combattenti partigiani.
Relativamente agli uomini contrassegnati col triangolo rosso, più di 200, arrivarono ad Auschwitz nel corso del 1944 al seguito del trasferimento da altri campi di concentramento: Dachau, Mauthausen e Majdanek-Lublino. Nessuno, da quanto risulta dalla documentazione disponibile, fu deportato quindi ad Auschwitz come primo campo di approdo.
Fu un gruppo eterogeneo per età e provenienza, ma che arrivò ad Auschwitz in circostanze precise: si trattò del trasferimento di personale medico o di operai e professionalità altamente specializzate, di cui le industrie del complesso di Auschwitz avevano bisogno, nonché di trasporti di evacuazione da Majdanek di prigionieri sfiniti dal lavoro o gravemente malati, di cui molti morirono a Birkenau.