Qual è la situazione della sperimentazione sugli animali, svolta da enti pubblici e privati, in regione; quanti sono i fondi stanziati per formare personale che utilizzi metodi alternativi; quali le prospettive di rinnovare la legge regionale 20/2002 e di applicare i diversi metodi di sperimentazione. Infine, la richiesta alla Giunta se non ritenga “che la diffusione e applicazione dei metodi sostitutivi permetterebbe di ridurre notevolmente la spesa corrente annuale” e se non ritenga utile aumentare i fondi per nuovi metodi, oltre all’elenco delle attività del Comitato etico regionale previsto dalla L.R. 20/2002.
E’ l’interrogazione rivolta dalla consigliera Giulia Gibertoni (Gruppo Misto) sull’attività di sperimentazione animale negli stabilimenti autorizzati, in base alla legge 26/2014. La direttiva europea 2010/63 prevede di arrivare a metodi alternativi “nell’uso degli animali negli esperimenti e con l’obiettivo finale della completa sostituzione delle procedure su animali vivi”. In Europa, oggi vengono utilizzati 12 milioni di animali vivi e la sostituzione delle procedure “appare ancora molto lontana”. I metodi alternativi, spiega Gibertoni, sono le procedure “adottate allo scopo di ridurre l’uso di animali, di sostituirli completamente nella sperimentazione, ma anche di limitarne o eliminarne le sofferenze”.
Per il triennio 2014-2016, per la formazione del personale all’uso di metodi alternativi, è stato stanziato un milione di euro da destinare a Regioni, Province e Istituti zooprofilattici. Un Gruppo di lavoro sui metodi alternativi comprende anche l’Istituto zooprofilattico dell’Emilia-Romagna. Il Gruppo (insediato nel 2019) avrebbe dovuto presentare una relazione mensile e semestrale. Il Decreto Milleproroghe, del dicembre 2019, inoltre, ha stanziato, ricorda Gibertoni, 2 milioni per il triennio 2020-2022: il 20% alle Regioni e l’80% a Istituti zooprofilattici, enti di ricerca e università.
Infine, il Consiglio di Stato, accogliendo un ricorso della Lav ha disposto che “deve essere chi sperimenta a dover provare che non esistono alternative ad una sperimentazione invasiva sugli animali e foriera di sofferenze che la normativa europea e nazionale sul benessere animale, anche nelle sedi di sperimentazione, prescrive di evitare o ridurre entro rigorosi parametri fisiologici”. Ma il Consiglio superiore di sanità aveva affermato che “alla data odierna, non esistano metodi alternativi ad una sperimentazione invasiva sugli animali così come prevista nel progetto di ricerca”. I giudici amministrativi, però, hanno deciso che “possono riprendere, dopo alcuni mesi di blocco, gli esperimenti sul cervello dei macachi chiusi nello stabulario dell’università di Parma”. Nei mesi scorsi, conclude la consigliera, esperti scientifici e legali avevano chiesto di fermare gli esperimenti.