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Comunicazione. Cuppi (Corecom): serve regolamento per gestione social pubbliche amministrazioni

Il presidente Stefano Cuppi: “Presenteremo una nostra proposta”. Mori (Pd): “Sbagliato che in caso di diffamazione la responsabilità sia del dipendente”, Pelloni (Lega): “Giusto che anche i nativi digitali capiscano le responsabilità”

Regolamentare l’attività dei dipendenti che gestiscono i social network delle pubbliche amministrazioni. Questo è il succo dell’informativa del presidente del Corecom Emilia-Romagna Stefano Cuppi che si è svolta oggi in commissione Parità, presieduta da Federico Amico. Una considerazione partita da uno studio che è stato svolto lo scorso febbraio e che porterà il Corecom a presentare nelle prossime settimane una proposta di regolamento alla Giunta e ai consiglieri regionali. Dallo studio, emerge che sono 30 milioni gli utenti che utilizzano Facebook, 20 milioni quelli che usano Instagram, oltre 3 milioni quelli che utilizzano di Twitter e 14 milioni gli utenti di linkedln. L’idea della ricerca- ha spiegato Cuppi- è nata perché le decine di migliaia di pagine istituzionali aperte sui social sono aperte da persone fisiche, senza nessun incarico formale e regolamentare. Dunque, volevamo approfondire quali riflessi questo potesse avere sulla par condicio, mirando a sensibilizzare sull’urgenza di regolamentare questi incarichi”. Dunque, “il cuore del problema è il mancato riconoscimento delle persone giuridiche come controparte contrattuale da parte di Facebook e Instagram, mentre Twitter riconosce come controparte le persone giuridiche, quindi un ente può aprire un account direttamente, mentre Fb e Instagram impediscono questo e l’ente che intende aprire una pagina deve passare attraverso un proprio dipendente che deve usare l’account personale”. Quindi, se l’ente pubblico non ha altra strada che avvalersi di un proprio dipendente, questo rende critica l’eredità digitale e non c’è alcun obbligo da parte del dipendente di chiudere la pagina”. Il contratto tra l’utente e l’azienda non è ‘gratuito’, nel senso che il social offre i propri servizi in cambio dei dati personali. Per quanto riguarda la par condicio, la circostanza che si viene a creare è che alcuni soggetti, utilizzando i social, possano venire a confondersi con il loro ruolo istituzionale e avere anche una qualifica riconducibile all’ente per cui il soggetto privato lavora. La legge di riferimento per il Corecom che deve decidere in regime di par condicio è la 28 del 2000, in cui si richiamano i canali attraverso i quali i soggetti hanno facoltà di fare la loro campagna elettorale ed esprimere le loro opinioni, ma la legge non richiama i social perché parla ancora e solo di giornali, radio e tv. Da Roberta Mori (Partito democratico) arriva la richiesta di “una maggior tutela per chi gestisce i social degli enti” chiedendo dunque “se, nel caso in cui venisse pubblicato un post a nome dell’ente e l’utente (e quindi il dipendente) venga diffamato, se le spese siano poi a carico dell’ente o della persona fisica”. Ma la risposta di Cuppi è chiara: “In assenza di una regolamentazione, le spese sono a carico della persona fisica. La nostra stima è di 10 mila pagine social, quindi ci sono almeno 10 mila persone che gestiscono pagine di enti pubblici o Asl. Noi abbiamo trovato una decina scarsa di regolamenti o tentativi di regolamenti, ma poco fondati dal punto di vista giuridico”. E Simone Pelloni (Lega) ha sottolineato come “ci sia differenza tra profilo privato e pagina e gli enti possono avere entrambi. Inoltre, le credenziali dei social possono essere in possesso di molti utenti. E’ giusto che anche i nativi digitali abbiamo bene a mente le responsabilità dirette o indirette che arrivano dalla gestione di altre pagine o profili”. “

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