“Stabilire nelle linee guida per la refezione scolastica (in particolare per le fasce 3-6 anni e 0-3 anni) una frequenza non superiore a due volte la settimana per l’assunzione di carne rosse e bianche non lavorate e l’esclusione del consumo di carni lavorate, con la possibilità, almeno una volta la settimana, di pasti completi (ed equilibrati dal punto di vista nutrizionale) interamente di provenienza vegetale”.
A chiederlo, con una risoluzione rivolta al governo regionale, è la consigliera Giulia Gibertoni (Misto), che sollecita quindi l’esecutivo “a considerare nella predisposizione delle linee guida o degli atti di programmazione generale in materia di orientamento dei consumi e educazione alimentare, nonché di qualificazione dei servizi di ristorazione collettiva (con particolare riferimento ai servizi di refezione scolastica), la scelta delle possibili opportunità da un punto di vista sanitario e ambientale, valutando l’impronta ecologica complessiva e non soltanto gli aspetti meramente economici e contingenti”. Chiede quindi all’esecutivo, nello specifico, “di non anteporre le ragioni commerciali dei produttori interessati a quelle della salute dei cittadini”.
La consigliera cita, infatti, il recente piano europeo per sconfiggere il cancro: “La Commissione sta procedendo al riesame della politica di promozione dei prodotti agricoli, al fine di rafforzarne il contributo alla produzione e al consumo sostenibili e in linea con il passaggio a una dieta basata maggiormente sui vegetali, che comprenda meno carni rosse e trasformate e altri alimenti potenzialmente cancerogeni e più frutta e verdura”.
Viene confermato, rimarca la capogruppo, “una volta di più quanto da anni è ribadito dai nutrizionisti e quanto emerge dalle linee guida delle principali società scientifiche, il cui consiglio è quello di prediligere, nell’alimentazione umana, la dieta mediterranea, ricca in cereali, legumi, ortaggi e frutta, moderando, invece, l’assunzione di carne, in particolare quella rossa”. Secondo i dati forniti dall’Associazione Italiana di epidemiologia, prosegue, “il 70 per cento degli italiani adulti consuma carne bovina: in media 400 e 360 grammi alla settimana, rispettivamente per uomini e donne (valori più alti si registrano nelle regioni del nord-ovest), ‘ipotizzando una riduzione dei consumi compresa tra il 50 per cento e il 70 per cento la percentuale di casi di tumore del colon retto prevenibili varierebbe dal 2,1 per cento al 6,5 per cento’”.
Come dimostrato anche da studi della Fao, sottolinea poi Gibertoni, “l’eccessivo consumo di carne proveniente da allevamenti intensivi improntati a un modello industriale è un grave problema: gli animali sono considerati semplici macchine da carne senza considerazione alcuna per le condizioni in cui vivono, spesso pessime, e il risultato ultimo è la produzione di carne di scarsa qualità che non giova né alla salute dei cittadini né all’ambiente”. Spiega anche, citando lo stesso studio, che “con il 14,5 per cento delle emissioni totali di gas serra il settore zootecnico è un’importante fonte di gas climalteranti, mentre un terzo delle terre coltivate nel mondo è utilizzato per produrre un miliardo di tonnellate di mangimi, soprattutto sotto forma di monocolture di soia e mais, per non parlare delle risorse idriche, il 23 per cento dell’acqua dolce disponibile sul pianeta è utilizzato per l’allevamento del bestiame”. Fao, conclude, “ritiene poi che il settore zootecnico sia il maggiore responsabile della perdita di biodiversità complessiva del nostro pianeta”.
(Cristian Casali)