Si chiudono in se stessi, preferiscono passare ore online piuttosto che parlare con i propri coetanei. L’abbandono scolastico è all’ordine del giorno, così come la bocciatura a scuola.
Al 15 giugno scorso in Emilia Romagna sono stati segnalati 762 casi di minori in situazione di “ritiro sociale”, ovvero con problemi di relazione con gli altri e tendenza a isolarsi, situazione resasi ancora più drammatica dopo il Covid e le misure di restrizione sociale resesi necessarie, a partire dal lockdown, per contrastare la diffusione del virus. Il dato è emerso durante la presentazione di una ricerca curata dalla Regione Emilia-Romagna nel corso della seduta congiunta delle commissioni Cultura, Sanità e Parità presiedute rispettivamente da Francesca Marchetti, Ottavia Soncini e Federico Alessandro Amico.
Venendo al profilo di questi minori si scopre che il 49,6% sono maschi, il 50,4% femmine, il 38% ha 15-16, mentre il 26% ne ha 13-14%; il 44% non va più a scuola, il 28% ci va un solo un giorno a settimana, mentre il 21% frequenta regolarmente le lezioni salvo poi chiudersi in casa non appena esce da scuola. I numeri relativi all’abbandono scolastico sono ancora più drammatici quando dalla scuola si passa alla formazione professionale dove il 55% non va più a lezione, mentre solo il 14% vi si reca regolarmente. Le classi scolastiche più a rischio sono la seconda e terza media e la prima superiore. Anche dentro le mura domestiche il quadro del “ritiro sociale” è drammatico: se il 70% pranza e cena coi genitori, il 30% lo fa da solo, il 49% ha relazioni con l’esterno attraverso le chat online, mentre solo il 7,7% frequenta un partner. Segnalati anche disturbi nel ciclo sonno-veglia (il 40% sta alzato fino a tardi, mentre il 16% ha invertito il giorno con la notte, percentuali che arrivano rispettivamente al 48% e al 20% se si considera chi è iscritto a corsi di formazione professionale), persone affette da ansia (32%), da depressione (16%) e disturbo della personalità (4,7%). Interessante anche il quadro famigliare di questi ragazzi: se il 50% vive con entrambi i genitori, l’altra metà vive solo con uno dei due.
La garante regionale per l’Infanzia Claudia Giudici è intervenuta sottolineando come “il ritiro sociale un tempo fosse meno dichiarato e meno rilevato. Contemporaneamente, vanno considerate le condizioni che i nostri ragazzi stanno vivendo da dopo la pandemia, che ha portato un esacerbarsi del disagio giovanile. Dal documento del garante nazionale per l’infanzia emerge che per affrontare il fenomeno è imprescindibile il coinvolgimento di tutti gli attori, dal mondo sanitario a quello sociale e scolastico, per promuovere e tutelare il neurosviluppo e la resilienza dei nostri giovani e delle loro famiglie. Ci deve essere un’attenzione complessiva al sistema per recupere le potenzialità di ragazzi e ragazze. Dal documento emergono anche altri problemi come i disturbi alimentari, i tentati suicidi e suicidi in età sempre più precoce, autolesionismo, tutti associati al fenomeno del ritiro sociale. Sono attacchi al proprio corpo e alla propria identità. Nel mondo della scuola ci sono segnali che si possono cogliere per consentire interventi adeguati. Il ritiro sociale non è facile da diagnosticare e le cause sono multifattoriali, anche diverse”.
“Si tratta di una ricerca significativa perché fa emergere un quadro importante: mi ha molto colpito la ricorrenza di problemi legati all’ansia. La ricerca ci permette di conoscere il fenomeno e intervenire: tutto il sistema scolastico va potenziato sapendo che però la scuola non può fare tutto da sola, la famiglia è importante, ma sono a mani nude”, spiega la presidente Marchetti, mentre la presidente Soncini sottolinea come “la ricerca evidenzia questioni molto importanti. Mi ha molto colpito che la garante Giudici abbia sottolineato come questi problemi siano emersi dopo la pandemia, ma già esistevano prima”. Dal canto suo il presidente Amico ricorda che “la ricerca è anche un modo per verificare l’efficacia delle azioni della Regione. È importante far entrare queste attività nei piani di zona del welfare: l’attività di ricerca dell’Assemblea ha fatto emergere il fenomeno e dato più elementi per occuparsene”.
“Sono dati molto preoccupanti, colpisce soprattutto che la segnalazione arrivi in gran parte dai servizi di neuropsichiatria o dai servizi sociali e non dalla scuola, vuol dire che si hanno le segnalazioni solo quando la fragilità è disagio sociale”, spiega Francesca Maletti (Pd) nel chiedere una riflessione sugli sportelli scolastici.
Per Michele Facci (Lega) “manca qualcosa: nell’ottica di svolgere al meglio il nostro compito occorre conoscere ogni elemento che possa essere di ausilio a qualsiasi tipo di intervento. Mancano aspetti che riguardano la condizione sociale di questi ragazzi. Avere uno spaccato della loro estrazione socio-culturale, servirebbe in un’ottica di aiuto per intervenire al meglio”.
Stefania Bondavalli (Lista Bonaccini) ha sottolineato che “la scuola e la formazione professionale hanno un ruolo fondamentale nella rilevazione delle criticità perché sono il contesto sociale nel quale i ragazzi vivono fuori dalla famiglia. Possono contribuire alla consapevolezza di essere di fronte a condizioni di ritiro sociale. Emerge con chiarezza un’area di bisogno e le istituzioni devono dare risposte ulteriori”.
(Lucia Paci e Luca Molinari)