Chiedono prima di tutto “certezza nelle risorse”, perché “per fortuna esiste il volontariato, ma noi dobbiamo impegnare anche risorse professionali”, poi “percorsi per garantire autonomia delle vittime”, tanto a livello lavorativo quanto abitativo, e, infine, “iniziative per la formazione e la prevenzione, a partire dalle scuole”: la commissione Parità e diritti delle persone, presieduta da Roberta Mori, ha ascoltato oggi le responsabili del Coordinamento dei tredici centri contro la violenza sulle donne dell’Emilia-Romagna.
Nel 2014, spiegano, sono state 3.300 le donne che si sono rivolte alla rete di strutture: “Purtroppo si conferma il trend di aumento, non c’è stata nessuna riduzione- spiegano-, d’altra parte questo vuole anche significare che si va sempre più riducendo la paura o la vergogna di denunciare”. Le vittime sono in due casi su tre italiane, riferiscono, ed è in crescita in particolare la violenza economica, cioè la privazione forzata del lavoro o di risorse economiche proprie.
La presidente Mori, dopo aver ringraziato il Coordinamento per “il presidio socio-culturale che i Centri effettuano sul territorio attraverso una presa in carico che ha risvolti positivi su tutta la società”, ha colto l’occasione per annunciare che “a breve arriverà in commissione la bozza del Piano regionale per i centri antiviolenza per un esame preliminare, prima che venga redatto definitivamente”.
Luciana Serri (Pd) è intervenuta per sottolineare come “un sommerso importante stia venendo alla luce, stanno crescendo una cultura differente e un nuovo coraggio”. La consigliera ha poi chiesto informazioni sugli esiti dei percorsi nei Centri per uomini maltrattanti.
Silvia Prodi (Pd) si è interessata sul tipo di volontariato con cui interagiscono i Centri, su “quali siano le professionalità maggiormente necessarie per il loro funzionamento” e, più in generale, “sulle richieste a cui la politica e l’amministrazione regionale potrebbero provare a dare risposta”.
Per Francesca Marchetti (Pd), “le reti permettono un ragionamento di prospettiva, per questo è importante il loro mantenimento”; la consigliera ha poi domandato quali siano “le iniziative specifiche per la prevenzione della violenza di genere”, e quali quelle “per garantire la sicurezza di quelle donne che rimangono sole dopo la denuncia”.
Antonio Mumolo (Pd) ha voluto avere aggiornamenti sulle donne vittime di tratta: “Quante di loro si rivolgono ai centri antiviolenza, chi se ne occupa e a chi viene affidata la loro assistenza legale”.
Enrico Aimi (Fi) ha prima chiesto alle responsabili del Coordinamento una loro valutazione “sul processo di depenalizzazione attualmente in corso a livello nazionale che riguarda la violenza sulle donne”, poi si è concentrato sul numero “dei casi di infibulazione e segregazione, sulle nazionalità dei partner maltrattanti” e, infine, “sulla possibilità di strutture anche per uomini maltrattati”.
Anche Nadia Rossi (Pd) ha invitato a leggere l’aumento dei casi come “un segnale che non c’è più paura di denunciare”. Secondo la consigliera, sarebbe opportuno pensare a “tutti gli strumenti possibili per rendere più facile alle vittime la riconquista della loro autonomia, sia per quanto riguarda la casa che il lavoro”.
Gabriele Delmonte (Ln) si è focalizzato sulla “violenza psicologica ai danni delle ragazze più giovani, molto spesso anche minorenni, basata sul revenge porn, cioè la minaccia della diffusione di foto o video particolarmente intimi, di cui spesso non viene colta la gravità al momento della realizzazione”.
(jf)