“Se non cambierà lotta dura sarà”. E’ uno degli slogan urlato a piena voce dalla folta rappresentanza dei lavoratori di BolognaFiere che hanno ricevuto la lettera che dà inizio alla procedura di mobilità. Che vuole dire licenziamento. Si tratta di 123 dei 247 dipendenti della Fiera, lavoratori con part time verticale ciclico (impiegati quindi durante le manifestazioni fieristiche) con stipendi medi da 900/1.000 euro al mese, che hanno manifestato questa mattina, davanti alla sede dell’Assemblea Legislativa, dove era in corso l’audizione del presidente di BolognaFiere, Franco Boni.
”Non ci stiamo a fare le cavie di questo esperimento di finanza creativa,- segnala Fabio Perretta (Usb-Lavoro privato Emilia-Romagna)– tanto più di fronte al fatto che la Fiera di Bologna necessita di un rilancio serio e di una prospettiva di crescita e non di contrazione”. Tutte d’accordo le varie sigle: non si parta dalla fine, cioè dai licenziamenti, ma dall’inizio e cioè dalla presentazione del piano industriale, che tuttavia- affermano- sembra non esserci.
“Siamo disponibili a trattare- sostiene Sara Ciurlia (Fisascat Cisl)– ma come i soci privati non sono disponibili a investire senza vedere il piano industriale, i lavoratori non sono disponibili a rivedere le condizioni di lavoro senza che sia noto un piano generale di rilancio della Fiera. Quello che stupisce- chiosa- sono i motivi per cui ci sia la disponibilità dei soci pubblici a investire soldi pubblici senza il piano industriale, il tutto sulle spalle dei lavoratori”.
Anche Gianluca Taddia (Filcams-Cgil) punta sul “necessario rilancio della Fiera nei confronti del quale i soci pubblici non possono sottrarsi, non solo in termini economici, ma anche dal punto di vista politico, dato che la Fiera è il punto centrale dell’economia cittadina”. Di qui la richiesta, generalizzata, di annullare la procedura di mobilità e di un confronto sul piano industriale, che è “la grande incognita”.
“Prima di parlare di esuberi- ribadisce Antonio Bonora (Uil Emilia-Romagna)– pretendiamo un piano industriale per rilanciare e riorganizzare la Fiera, che è poi quello che hanno chiesto i soci privati e pubblici, mentre Boni è partito dalla procedura di mobilità”.
Hanno partecipato alla manifestazione anche componenti del Consiglio d’azienda, l’organismo interno all’azienda eletto dai lavoratori, e Alessandra Cuozzo (sindacato Sgb) che chiede chi abbia dato a Boni il mandato per i licenziamenti, quando “nessuno degli altri soci, che si sono confrontati con i rappresentanti dei lavoratori, ha confermato di aver dato questo mandato”.
E si punta il dito anche sul bilancio, che “fino a marzo era in previsione di pareggio, poi con un artificio contabile è risultato in perdita di quasi 9 milioni di euro- sottolinea Perretta- salvo avere una prospettiva in positivo per il prossimo anno”. Il tutto- denunciano i sindacalisti- per giustificare i licenziamenti. Anche Taddia conferma che “si è fatta la scelta aziendale di scaricare sul bilancio 2015 tutte le voci di costo”. Di qui le richieste, fondamentalmente due: annullare la procedura di licenziamento e confrontarsi sul piano industriale e quindi sul futuro della Fiera.
(Antonella Celletti)