Ambiente e territorio

Gli esperti del Wolf center: abbattimenti lupi inutili, aziende cambino abitudini

Alle commissioni Economia e Territorioi i tecnici del Parco Tosco Emiliano suggeriscono recinzioni delle greggi e pastori maremmani a difesa. “Non lasciare carcasse o placente vicino alle stalle”

“Per una gestione del lupo in grado di tenere insieme la tutela della specie, preservandola dall’ibridazione dovuta all’incrocio con i cani, e la salvaguardia delle attività zootecniche come gli allevamenti al pascolo di ovini, caprini e bovini, occorrono interventi di monitoraggio e prevenzione concreti, per i quali necessitano risorse economiche adeguate, e un nuovo approccio culturale rispetto ai comportamenti da tenere per evitare che il lupo prenda ulteriormente confidenza con le attività umane”. Questa, in sintesi, l’indicazione pervenuta dagli esperti del Wolf apennine center (Wac), unità operativa del Parco Tosco-Emiliano che si occupa del lupo, convocati in audizione in merito al tema della gestione di questa specie sul territorio regionale, oggetto della seduta congiunta della commissione Politiche economiche, presieduta da Luciana Serri, e della commissione Territorio, ambiente e mobilità, presieduta da Manuela Rontini. L’audizione degli esperti del Wac è stata preceduta da un’informativa sull’attività della Regione per la gestione del lupo.

La Regione – ha ricordato un tecnico – grazie alla convenzione con il Wac ha fatto molto per la tutela del lupo e con una spesa contenuta. Oggi tutto l’Appennino è popolato da esemplari di lupo, monitorati per verificare i danni da predazione. L’area più colpita è quella del forlivese. Dal 2014 la Regione ha abbinato l’assistenza tecnica in azienda allo stanziamento di fondi per la prevenzione, mettendo in sicurezza la metà delle aziende zootecniche ammesse al finanziamento. I risultati sono stati incoraggianti, dato che dopo gli interventi gli attacchi di lupi si sono praticamente azzerati. Nel 2016, grazie ai bandi attuativi del Programma di sviluppo rurale (Psr), sono aumentati i fondi stanziati.

Il Wac – hanno spiegato gli esperti – si occupa di approntare soluzioni gestionali efficaci circa la presenza del lupo integrata con le attività umane. Quattro sono i suoi ambiti di attività: il monitoraggio di lupi e canidi, in particolare in relazione al verificarsi di attacchi predatori; l’informazione corretta sulla presenza del lupo; gli interventi sanitari su esemplari feriti, avvelenati o malnutriti; la mitigazione del conflitto tra presenza del lupo e zootecnia. Il lupo è un animale dall’elevata capacità adattiva che vive in branco secondo una rigida gerarchia sociale. Questo fa sì che, per limitare i conflitti, gli esemplari giovani siano spinti a spostarsi in altri territori per formare nuovi branchi. Il progressivo spopolamento delle zone montane ha consentito al lupo di colonizzare tutto l’Appennino e di spingersi sempre più a valle, tanto che oggi esemplari di lupo sono presenti anche in pianura e vicino ai centri urbani. “La diffusione del lupo- hanno evidenziato gli esperti- è tale che in alcune zone si fronteggiano visioni radicali sulla possibile convivenza con l’uomo. La soluzione radicale dell’abbattimento selettivo (5% della popolazione), però, è inefficace. O si abbatte la metà degli esemplari presenti in Italia, soluzione impensabile, o addirittura si rischia di aumentare la diffusione della specie”.

Alle domande della presidente Serri e dei consiglieri Roberto Poli, Alessandro Cardinali (Pd), Tommaso Foti (Fdi-An) e Massimiliano Pompignoli (Ln) su quali misure adottare per evitare che il lupo, specie protetta e che si vuole continuare a proteggere, non costituisca un problema per le attività zootecniche praticate nelle zone montane, spesso da giovani e con notevoli sacrifici, gli esperti hanno risposto che gli interventi di prevenzione, insieme al monitoraggio, sono gli unici efficaci. Ad esempio, hanno sottolineato, le recinzioni dei pascoli e l’introduzione di esemplari di pastore maremmano nelle greggi e mandrie al pascolo, hanno prodotto risultati lusinghieri. Il problema della predazione, inoltre, del tutto slegato dall’ibridazione della specie a causa degli incroci con i cani, dipende molto da come vengono gestiti gli animali da allevamento. L’accumulo nei letamai attigui alle stalle di placenta e residui del parto dei vitelli o quello vicino alle stalle di carcasse di bestiame in attesa di smaltimento, attira il lupo e lo rende sempre più confidente con la presenza dell’uomo e delle sue attività. “Non basta quindi la prevenzione- hanno concluso gli operatori del Wac- ma occorre ripensare la nostra convivenza col lupo, modificando comportamenti e condotte che rischiano di aggravare il problema. Si tratta di una sfida culturale dagli importanti risvolti sociali che non possiamo più ignorare”.

(Luca Govoni)

Ambiente e territorio