L’odore acre dello zolfo, il nero del carbone su tutto il corpo, la fatica, il sudore, gli incendi e le tragedie. Storie ordinarie di un mondo, quello delle miniere, che ha accompagnato l’uomo nelle epoche, ha segnato il cammino dell’Italia e il vissuto delle popolazioni della Romagna-orientale. Un mondo raccontato dalla mostra “Solfo e carbone, minatori speleologici nella Romagna orientale”, inaugurata oggi e creata per celebrare le tante persone che hanno lavorato nei giacimenti della provincia di Rimini o che proprio da quel territorio, quando l’industria solfifera decadde, si sono spostati verso altri paesi come il Belgio.
“Lavoro, ambiente, emigrazione e storia: questa mostra racconta tutto questo”, ha spiegato Giorgio Pruccoli, consigliere Questore dell’Ufficio di presidenza dell’Assemblea legislativa. “Temi di cui discutiamo giorno dopo giorno- ha continuato- in Aula ma anche nelle commissioni perché sono parte fondamentale della società. L’esposizione che ospitiamo qui in Assemblea ci riporta la mente ai tempi in cui tanti abitanti della Romagna sono partiti verso il Belgio. Le miniere della nostra regione avevano chiuso i battenti e quella era l’unica soluzione per mantenere le proprie famiglie. La memoria che vuole restituire questa esposizione è proprio quella dei minatori: una vita passata dentro le viscere della terra, costretti poi a emigrare e alcuni perirono durante i tanti incidenti che si verificavano nelle miniere. Come la tragedia del 1956 di Marcinelle in Belgio raccontata da questa mostra”.
La mostra racconta il parallelismo tra la pericolosità delle miniere di zolfo, ricche di gas, scavate in rocce fragili, facili all’incendio e le miniere di carbone che presentavano rischi identici. Pericoli divenuti reali nella funesta storia estrattiva della miniera di Perticara (Rimini) che, come anche quelle limitrofe, ha assistito a crolli, esplosioni innescate da esalazioni di metano e incendi. Disastri simili a quelli avvenuti nelle miniere di carbone in giro per l’Europa. Luoghi di lavoro distanti geograficamente ma resi vicini non solo dall’alto livello di pericolosità ma anche dall’emigrazione di lavoratori romagnoli in Belgio di cui quattro, ricordati dalla mostra, perirono nel disastro di Marcinelle (Belgio 1956). La mostra, oltre a ricordare il tragico evento, mette l’accento sulla necessità di non perdere la memoria di chi ha lavorato in queste miniere e le ha lasciate per andare a lavorare in altre dove ha perso la vita. Una memoria strettamente legata alla sopravvivenza delle miniere di zolfo che si stanno distruggendo, abbandonate da ormai più di 50 anni.
“Questa mostra- ha raccontato Marisa Garberi, la curatrice dell’esposizione- nasce da un progetto partito nel 2014: la riscoperta delle miniere nell’ottica della memoria delle persone che prima hanno lavorato, poi si sono trasferiti con in mano un foglietto rosa: quello della chiamata dello stato italiano”.
L’estrazione dello zolfo nella Romagna Orientale è documentata fin da tempi remoti: dai romani, passando per il Medioevo fino ad arrivare a tempi più recenti, gli anni Sessanta, quando la maggior parte delle miniere chiusero i battenti. Fu la scoperta del metodo Frash, che consente l’estrazione dello zolfo dai giacimenti terrosi a cielo aperto, e quella dell’estrazione dell’acido solforico dalle piriti, unite alla profondità dei giacimenti, a condannare l’industria solfifera italiana.
(Andrea Perini)