Governo locale e legalità

Fusioni Comuni. Bologna, stop a Castenaso e Granarolo. Pd: analizzare percorso; M5s: processo viziato alla base

Secondo la Lega “non c’erano le basi per procedere”. Sinistra Italiana: “La legge ci dice di avviare percorso quando Comuni lo chiedono”. Misto-Mns: “Rispettare scelte dei cittadini”. Fi: “Processo che è partito dall’alto”

“I cittadini si sono pronunciati nettamente per il non proseguimento di questo iter e quindi decadrà il processo di fusione”. Sono le parole di Giuseppe Paruolo (Pd) sul pdl che chiedeva l’unione tra i Comuni di Castenaso e Granarolo nella città metropolitana di Bologna. Dopo l’esito del referendum consultivo del 7 ottobre, l’Aula, con il sì unanime, delibera per il non passaggio degli articoli. Tuttavia il consigliere, relatore di maggioranza del progetto di legge, cerca di analizzare il perché di questo insuccesso anche di fronte agli altri riscontri positivi dei processi di fusione in quattro comuni del ferrarese (Formignana e Tresigallo; Berra e Ro) e in due del parmense (Mezzani e Sorbolo). “La sensazione è che fattori decisivi per il sì all’unione possono essere le dimensioni dei Comuni” spiega Paruolo (più sono grossi, più la scelta dei cittadini sarrebbe ‘conservativa’) “e il percorso evolutivo storico”. In sostanza, “più c’è storia in comune, più per i cittadini è semplice fondersi”, ipotizza il dem che aggiunge come sia necessario continuare a costruire convergenze possibili soprattutto nei casi in cui le fusioni costituiscono una reale e concreta opportunità per il territorio.

“Nel comune di Castenaso ha votato per il no alla fusione il 78 per cento dei cittadini, a Granarolo il 71. Un esito che non ci lascia affatto stupiti”, interviene Silvia Piccinini (M5s). “Su questa fusione avevamo già avvertito che non c’erano le condizioni per procedere” aggiunge. Secondo la consigliera l’intero processo sarebbe stato caratterizzato dalla “pervicacia di queste amministrazioni di voler pilotare il voto”. Non sarebbe stata fatta una reale “campagna informativa” secondo la pentastellata, ma solo “di propaganda”. Piccinini porta ad esempio alcuni casi di “sponsorizzazioni politiche a favore del sì” come il “giornalino del Comune pro-fusione”, e un “concorso nelle scuole, finanziato con i soldi del cittadini, per disegnare il logo del futuro Comune che non ci sarà”. Un processo “viziato alla base” e i cittadini, secondo Piccinini, l’avrebbero capito votando no.

Andrea Bertani (M5s) attacca direttamente la normativa in materia di fusione dei Comuni, “una legge pastrocchiata che ha generato un doppio corto circuito” con buchi normativi e passaggi non chiari. Il vuoto normativo riguarderebbe proprio il caso in cui in uno dei due Comuni prevalga il no. Per questo era stata approvata all’unanimità da questa Assemblea, ricorda il consigliere, una risoluzione dove si chiariva che se il no prevaleva anche in uno solo dei Comuni, il processo di fusione si sarebbe arrestato. Il consigliere chiede in Aula di votare nuovamente questa risoluzione perché per la fusione di Lama Mocogno e Montecreto (dove solo a Montecreto ha vinto il no), la Commissione Bilancio la scorsa settimana, sembrerebbe aver ignorato tale decisione, chiedendo parere al consiglio comunale su come procedere. Ma la risoluzione viene respinta in Aula con il no di Pd, l’astensione di Si e Misto-Mdp, e il sì di Lega Nord, Fdi, Misto-Mns e Fi. 

“Non c’erano le basi per procedere ad un processo di fusione, specialmente nella città metropolitana di Bologna” secondo Daniele Marchetti (Lega Nord). Secondo il leghista, infatti, si risentirebbero ancora gli effetti della fusione di Valsamoggia nel 2014, “uno dei passaggi peggiori della democrazia dove è stata calpestata la volontà dei cittadini”. Anche allora, ricorda Marchetti, la Lega si era opposta perché non c’erano i presupposti”. E, riallacciandosi alle parole di Paruolo, aggiunge: “è giusto riflettere, ma bisognava farlo prima”.

“Le fusioni in questa regione possono essere promosse in diversi modi, non solo attraverso referendum” ricorda Igor Taruffi (Sinistra italiana) che invita a ripartire dalla lettura della legge. “Quando, come in questo caso, due enti locali chiedono all’Assemblea di attuare una fusione, noi non possiamo fare altro che avviare il percorso e valutarlo”. Non dimentichiamoci, aggiunge Taruffi, “che si tratta di un referendum consultivo, quindi di uno strumento che le amministrazioni si danno, non elemento unico ed ultimo che si ha a disposizione, anche se poi bisogna rispettare le scelte”. Secondo il consigliere bisognerebbe forse lavorare maggiormente durante l’istruttoria, essere più cauti a partire quando i sindaci lo chiedono. “I Comuni con pochi abitanti fanno fatica ad ottenere un assetto organizzativo,” ammette infine Taruffi, “ma è la classe dirigente che deve indirizzarli”.

“Qual è il valore delle risoluzioni se vengono superate e disattese dalle convenienze del momento?”. E’ polemico invece Michele Facci (Misto-Mns) che si riallaccia al caso Lama Mocogno-Montecreto. “La maggioranza dell’Assemblea ha cercato di proseguire nel procedimento amministrativo nonostante l’esito referendario del Comune di Montecreto” spiega. Anche secondo Facci, la legge non è chiara, ed è “un problema tecnico che deve essere superato, ma rispettando le scelte dei cittadini”. Anche Andrea Galli (Fi) insiste sul caso della risoluzione: “Questo processo di fusione non parte più dal basso, ma dall’alto, è imposto” e, aggiunge, “non ci si può rimangiare la parola data”.

“Non possiamo avere lo stesso atteggiamento verso tutti tipi di fusione”, chiude in replica Paruolo, “ce ne sono alcune che hanno una ragionevolezza intrinseca evidente, ed altre che sono percorsi possibili”. La legge può anche essere migliorata, secondo il dem, “ma resta ferma la volontà di proseguire in questa strada quando necessaria per alcune realtà”.

(Francesca Mezzadri)

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