COMUNICATO
Governo locale e legalità

Regione. Sentenza Consulta su pubblicazione redditi dirigenti, Marchetti (Ln): cosa farà la Giunta?

Il consigliere chiede quali saranno le tempistiche per adeguarsi alla sentenza che ha ritenuto incostituzionale l’obbligo di pubblicare redditi e patrimonio di tutti i dirigenti pubblici

La sentenza numero 20/2019 dalla Corte Costituzionale, che ha ritenuto incostituzionali per “violazione del principio di proporzionalità” gli obblighi per tutti i dirigenti pubblici di pubblicare i dati su reddito e patrimonio, finisce al centro dell’interrogazione presentata da Daniele Marchetti (Lega Nord). Il consigliere, alla luce di questa sentenza, chiede alla Regione “come intenda darne seguito e con quali tempistiche preveda di regolarizzare eventuali pubblicazioni non idonee”.

In base a questa sentenza, scrive Marchetti nell’atto ispettivo, “per i dirigenti pubblici diversi da quelli che ricoprono incarichi apicali cadrebbe l’obbligo di pubblicare on-line i dati personali su reddito e patrimonio”. Questi dati, in base alla disposizione censurata, “dovevano essere diffusi attraverso i siti istituzionali e potevano essere trattati secondo modalità che ne avessero consentito l’indicizzazione, la rintracciabilità tramite i motori di ricerca web e anche il loro riutilizzo”. Secondo i giudici costituzionali, continua il consigliere, “il legislatore, nell’estendere tutti gli obblighi di pubblicazione ai circa 140.000 dirigenti pubblici (e, se consenzienti, ai loro coniugi e parenti entro il secondo grado), ha violato il principio di proporzionalità”. Pur riconoscendo che gli obblighi in questione sono funzionali all’obiettivo della trasparenza, e in particolare alla lotta alla corruzione nella Pubblica amministrazione, “la Corte ha ritenuto che tra le diverse misure appropriate non sia stata prescelta, come richiesto dal principio di proporzionalità, quella che meno sacrifica i diritti a confronto”. Perciò, in vista della trasformazione della Pa in una ‘casa di vetro’, “il legislatore può prevedere strumenti che consentano a chiunque di accedere liberamente alle informazioni, purché la loro conoscenza sia ragionevolmente collegata all’esercizio di un controllo sia sul corretto perseguimento delle funzioni istituzionali sia sull’impiego virtuoso delle risorse pubbliche”. Se da un lato ciò vale per i compensi relativi “all’assunzione della carica, nonché per le spese su viaggi di servizio e missioni pagate con fondi pubblici, il cui obbligo di pubblicazione viene preservato dalla sentenza per tutti i dirigenti pubblici, non è così per gli altri dati relativi ai redditi e al patrimonio personale, la cui pubblicazione era imposta, senza alcuna distinzione, per tutti i titolari di incarichi dirigenziali”. Dati, precisa Marchetti, “che non sono necessariamente collegati all’espletamento dell’incarico affidato”.

Poiché non spetta alla Corte costituzionale indicare una soluzione più idonea a bilanciare i diritti antagonisti, “la sentenza garantisce, insieme al diritto alla privacy, la tutela minima delle esigenze di trasparenza amministrativa, individuando nei dirigenti apicali delle amministrazioni statali coloro ai quali sono applicabili gli obblighi di pubblicazione imposti dalla disposizione censurata”. Spetterà ora al legislatore, chiude Marchetti, “ridisegnare il panorama dei nuovi destinatari degli obblighi di trasparenza”.

(Stefano Chiarelli)

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