In Italia, con il perdurare della crisi economica, sarebbe cessata l’attività di una stalla su cinque, con la conseguente perdita di 32.000 posti di lavoro.
Lo segnala il consigliere Tommaso Foti (Fdi) in una risoluzione in cui evidenzia che nelle “poco più di 36.000 stalle oggi attive sul territorio nazionale si sono prodotti, nel 2014, circa 110 milioni di quintali di latte, mentre ne risultano importati circa 86 milioni di quintali, con evidenti conseguenze negative, visto che ogni milione di quintale di latte importato comporta il mancato impiego di 1.200 occupati in agricoltura e di 17.000 vacche”.
La situazione, a parere del consigliere, “rischia di precipitare quest’anno, con la fine del regime delle quote latte da aprile 2015 e con un prezzo riconosciuto agli allevatori che non copre neppure i costi di produzione e spinge verso la chiusura altre migliaia di allevamenti. A questo si aggiunge il fatto – sottolinea l’esponente di Fdi – che gli allevatori italiani vedono ulteriormente ridotti i propri ricavi per il costo più elevato, a livello europeo, dell’energia elettrica, del gasolio, di imposte e tasse, degli alimenti e dei medicinali, a cui deve aggiungersi il costo dei sempre più gravosi oneri burocratici”.
La situazione di debolezza contrattuale si riscontra, in forma accentuata, – scrive Foti – nel settore lattiero-caseario, “in quanto il latte è prodotto giornalmente, non può essere stoccato e va ritirato e destinato immediatamente alla lavorazione e trasformazione: di conseguenza, gli allevatori non sono nella condizione di interrompere le consegne alle imprese di trasformazione e si trovano praticamente costretti ad accettare le condizioni contrattuali, e in particolare i prezzi, unilateralmente determinati, spesso molto al di sotto dei costi di produzione sostenuti”.
Tra i documenti segnalati nel testo, il consigliere cita il Regolamento (UE) 1308/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013, che individua, “come strumento per ridurre gli squilibri del potere contrattuale tra gli agricoltori e gli altri operatori della filiera nel settore lattiero-caseario, la possibilità per gli Stati membri di imporre l’obbligo del contratto scritto nelle consegne di latte crudo” e prevede “un ruolo qualificato delle organizzazioni di produttori per le contrattazioni nel settore lattiero caseario” per “ottimizzare i costi di produzione” e “stabilizzare i prezzi alla produzione”.
Foti sollecita quindi la Giunta ad attivarsi presso il Governo perché sia effettuato con urgenza un monitoraggio periodico delle principali classi di prodotti agricoli, dell’andamento dei costi medi di produzione e dei prezzi dei prodotti pagati dai produttori agricoli, anche in relazione a quanto viene poi pagato dal consumatore, e nel momento in cui si riscontrino, anche nel settore del latte, pratiche non corrette e sleali, proceda con le dovute segnalazioni all’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Il Governo inoltre dovrebbe procedere all’aggiornamento del decreto 199/2012, sia per predisporre l’istituzione di una commissione interprofessionale latte, sulla falsariga di alcuni modelli già adottati in Europa, sia per prevedere maggiori garanzie contrattuali per i produttori, con l’introduzione obbligatoria di clausole di garanzia nei contratti, con particolare riguardo alla loro durata e al rispetto del principio di buona prassi, fondato su un equilibrato rapporto tra andamento dei prezzi e andamento dei costi di produzione.
Sempre l’esecutivo nazionale dovrebbe emanare, previa consultazione della Conferenza Stato-Regioni, il decreto applicativo del Fondo latte di qualità, istituito con la legge di stabilità 2015, che prevede uno stanziamento di 100 milioni di euro nei prossimi due anni, soprattutto sul versante dell’abbattimento degli interessi e delle garanzie.
Oltre a queste sollecitazioni, la Giunta dovrebbe intervenire sul Governo perché, in attesa che la Commissione relazioni sull’indicazione obbligatoria del Paese d’origine del luogo di provenienza del latte, proponga alle aziende produttrici, con richiesta di adesione su base volontaria, l’utilizzo di un unico segno di riconoscimento per l’indicazione “latte fresco”, organizzata in almeno 15 segni grafici e distintivi differenti.
Il Governo dovrebbe poi assumere iniziative per garantire alle imprese agricole prezzi agevolati per l’acquisto del gas, dell’energia elettrica, del gasolio, dei mangimi e dei medicinali necessari agli animali allevati, dovrebbe richiedere alle autorità competenti di effettuare maggiori controlli sanitari sul latte importato e dovrebbe promuovere adeguatamente, nel 2016, il progetto “Latte nelle scuole”. (AC)