Prosegue in Aula il dibattito sul Piano faunistico venatorio regionale 2018-2023, strumento tecnico politico che fissa gli obiettivi e disciplina gli interventi per una corretta gestione della fauna selvatica e del prelievo venatorio in Emilia-Romagna.
“Il Piano è totalmente sbilanciato verso i cacciatori e si basa su dati difformi e incompleti”. Giulia Gibertoni (M5s) entra a gamba tesa sul piano faunistico venatorio regionale, scagliandosi contro chi ha la pretesa di chiamare ambientalista il cacciatore, un vero ossimoro difficile da capire, ma anche contro chi ha fatto troppo poco approvando il piano in due sole sedute di Commissione, peraltro dopo un confronto insufficiente in udienza conoscitiva con le associazioni ambientaliste. La consigliera pentastellata ha poi posto l’accento sulla questione degli ibridi: “La Giunta ha accettato giustamente di cancellare la parola eradicazione dal Piano, raggiungendo così un punto di legalità. Ora si rinvia a un censimento anche perché, come ha ricordato l’assessore Caselli, ibridi e lupi non sono riconoscibili a occhio nudo. Nel futuro, però, non vorrei che si usassero quei dati per giustificare gli abbattimenti. Ricordo- ha continuato la 5 stelle- che fino alla quarta generazione gli ibridi sono tutelati come lupi, dalla quinta sono cani d’affezione”. Gibertoni ha poi sottolineato la preoccupazione per il piombo disperso nell’ambiente e ha chiesto di valutare la sospensione della caccia per tutto il mese di novembre, vista la situazione di emergenza dovuta al maltempo. Infine, ha invitato l’esecutivo regionale a prendere posizione più decisa sul divieto di caccia nei valichi Appenninici e sulla caccia in tana alla volpe.
Giancarlo Tagliaferri (Fdi) ha messo in evidenza alcuni limiti del Piano faunistico venatorio regionale: “La soglia del danno sensibile del cinghiale è stata fissata in 26 euro perché quella era la media che risultava in base ai dati del triennio 2012-14- ha rimarcato in Aula- anche se era relativo a sole 49 unità gestionali. Francamente non capisco perché abbandonare un parametro come quello dei 50 euro che fino ad oggi ha mostrato la propria validità”. E sul mondo agricolo ha aggiunto: “È legittimato a rivendicare una percentuale in crescita per l’attività degli istituti privati, quindi trovo del tutto coerente la richiesta di portare dall’11% al 12% la porzione di superficie agro silvo pastorale (Sasp) riservata alle Aziende faunistico-venatorie e altrettanto quella di aumentare dallo 0,5% all’1% quella dedicata ai Centri privati per la produzione di fauna selvatica, tanto più che, con una corretta collocazione delle zone di addestramento cani, tali modifiche comporterebbero un consumo complessivo pari al 13% della Sasp, inferiore al 15% previsto dalla legge nazionale”. Infine, sugli Atc ha chiosato: “Se una futura riperimetrazione sarà calata in modo dirigistico dall’alto, e non sarà rispondente alle volontà locali di chi i singoli Atc li vive, troverà nel nostro gruppo assembleare fiera opposizione”.
Dai banchi di Forza Italia è stato invece Andrea Galli a chiedere un cambio di rotta per trasformare la caccia da costo a risorsa. “I cacciatori- ha evidenziato- hanno un ruolo importante per la conservazione dell’ambiente, in quanto sono in prima linea per preservare la diversità biologica”. E per trasformare la caccia in ulteriore risorsa, Galli ha proposto di “commercializzare la selvaggina cacciata, semplificare le procedure per il risarcimento dei danni agli agricoltori, ridurre le complicazioni burocratiche e i divieti vessatori ai cacciatori”. E sulla sicurezza ha aggiunto: “Serve maggiore informazione per prevenire gli incidenti, ma anche un cambiamento negli strumenti con cui si va a caccia: dai fucili a canna liscia a quelli a canna rigata, che riducono la gittata”. Il Piano in definitiva – ha concluso Galli – è in ritardo di anni e lascia perplessi.
Andrea Bertani (M5s) ha illustrato un ordine del giorno finalizzato a potenziare la raccolta e la conseguente analisi dei dati su sistema digitalizzato, in particolare attraverso applicativi Gis per la georeferenziazione di cui dotare i cacciatori. Il Piano – ha sottolineato – dovrebbe anzitutto prevenire e ridurre i danni della fauna selvatica alle produzioni agricole, salvaguardando la biodiversità e l’ecosistema. Nel Piano, però, la parte di prescrizioni relative alla gestione venatoria risultata preponderante, con previsioni, come quelle concernenti i ripopolamenti con finalità di caccia, che appaiono addirittura stridenti. Gli ha fatto eco la capogruppo pentastellata Silvia Piccinini, che, nel rimarcare l’incompletezza dei dati, ha criticato l’impostazione del Piano, troppo sbilanciata sul versante della gestione venatoria e degli interessi dei cacciatori.
Gian Luca Sassi (Misto) ha criticato il metodo con cui si è arrivati alla stesura del Piano, dato che tutto è partito da un’analisi inficiata dalla scarsità e mancanza di trasparenza dei dati. Inoltre, ha ricordato come il cosiddetto “decreto sicurezza” voluto dal ministro Salvini consenta ai cacciatori l’acquisto e l’uso di armi automatiche, fatto che getta un’ombra sinistra sul futuro dell’attività venatoria. Infine, ha puntato il dito contro la mancanza di strumenti informativi, a beneficio di cittadini e turisti, riguardanti le battute di caccia in corso di svolgimento nei vari territori.
Per Luciana Serri (Pd) i due anni di lavoro sono serviti per redigere un Piano condiviso e rispondente alle esigenze di tutti i soggetti interessati, oltre che delle varie realtà del territorio regionale. Ha poi illustrato una risoluzione che prevede un rafforzamento del ruolo dei cacciatori e degli Atc, attraverso l’istituzione dei Centri servizi di questi ultimi, nella gestione, tramite convenzione, delle zone di protezione.
Michele Facci (Misto-Mns) ha ritenuto il Piano insufficiente, in particolare per quanto riguarda la gestione del cinghiale, l’animale selvatico più impattante per l’agricoltura (3 milioni di danni nel periodo 2010-2014) e degli ungulati, specie nelle aree protette, all’interno delle quali, a suo avviso, i prelievi selettivi debbono essere meglio calibrati. Questo – ha sottolineato – per evitare zone franche e limitare anche i danni causati dagli incidenti stradali, in costante aumento, la cui responsabilità non può essere scaricata sui soggetti gestori delle strade.
Per Gian Luigi Molinari (Pd) il Piano ha robuste basi scientifiche e si configura non tanto come un documento di regolazione della caccia, ma come un vero e proprio documento di gestione del territorio. A suo avviso, anche riguardo alla gestione del lupo e degli ibridi, il Piano è riuscito in modo responsabile a contemperare i vari interessi in campo, senza derive ideologiche o preferenze.
Igor Taruffi (Si) ha puntato i riflettori su vari argomenti: il “ripopolamento forzoso”, che è un problema che chi vive in Appennino “conosce bene”, aggiungendo che “il dubbio che sia stato fatto a uso e consumo può sorgere”; gli “incidenti stradali”, per cui, ha rimarcato, “i soli cartelli non sono sufficienti a limitarli”, e il controllo degli ungulati. Il capogruppo ha poi posto l’accento “su un vuoto normativo del Piano: il mancato divieto di caccia nei valici e l’assenza di dati certi, che complicano il confronto”. Taruffi ha poi provocato 5 stelle e Lega: “Vedendo le posizioni diametralmente opposte qui in Aula, non riesco a capire come il governo possa redigere un Piano faunistico venatorio nazionale”.
Punzecchiature tra Gianluca Sassi (Misto), Gianluigi Molinari (Pd) e Massimiliano Pompignoli (Ln). Il Dem ha stuzzicato il consigliere del gruppo Misto e il leghista chiedendo al primo la differenza tra una canna liscia e rigata, mentre al secondo, che aveva parlato di disponibilità da parte del coordinamento regionale degli Atc e di otto province su nove alla diminuzione del numero degli Ambiti territoriali di caccia, ha ricordato che non è sul numero che si deve discutere, ma sulla qualità della gestione del territorio.
Ha concluso il dibattito l’assessore Simona Caselli, la quale ha ricordato come quello dell’Emilia-Romagna sia il primo Piano faunistico venatorio regionale in Italia. Peraltro, ha ottenuto il parere favorevole dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), massima autorità istituzionale in materia. In merito alla gestione degli ungulati, ha evidenziato come sia questione cruciale per la salvaguardia delle imprese agricole della montagna. infine, a precisato come, a norme vigenti, gli ibridi, così come il lupo, non si possano abbattere e quindi l’eradicazione sia una misura non consentita dalla legge, che, al contrario, prescrive solo interventi di prevenzione. In attesa che venga approvato il Piano nazionale per la gestione del lupo – ha evidenziato l’assessore – il messaggio che tutti noi amministratori dobbiamo diffondere in Emilia-Romagna è che occorre utilizzare tutti gli strumenti esistenti (prevenzione, controllo, risarcimenti) unitamente a una serie di efficaci cautele.
[segue comunicato sul voto]
(Luca Govoni e Andrea Perini)