Garantire sistemazioni idonee e sicure ai bambini, figli di donne detenute che non possono usufruire della detenzione speciale domiciliare. Lo chiede in un’interrogazione alla Giunta, Andrea Bertani (Movimento 5 stelle) che sottolinea come “nella nostra regione siano presenti istituti penitenziari con sezioni femminili ma non istituti a custodia attenuata per detenute madri (Icam), né case-famiglia protette”.
Nel 2018 in Emilia-Romagna sarebbero stati 3 i minori che hanno dovuto vivere dietro le sbarre con le loro madri, ma, secondo il consigliere “né il carcere né gli Icam rispondono al bisogno fondamentale di un bambino di crescere in un ambiente familiare con le stesse opportunità di crescita dei coetanei”. Bertani riporta quindi due sperimentazioni, partite a Roma e Milano nel 2016, di case-famiglia protette dove alcune donne detenute hanno potuto vivere con i figli, gestite da enti del terzo settore grazie all’accordo con gli enti territoriali (Comune, Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, Tribunale di Sorveglianza). “Le case-famiglia protette sono strutture esterne di tipo familiare comunitario destinate sia all’espiazione di misure cautelari che di misure alternative” specifica il consigliere. “La loro carenza è dovuta sostanzialmente alle disposizioni della legge 40/2011, che non prevede finanziamenti diretti per queste strutture,” spiega Bertani che tuttavia ricorda comaìe, in base alla legge 62/2011, “il ministero della Giustizia possa stipulare convenzioni con enti locali per l’individuazione delle case famiglia senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.
Il consigliere chiede quindi di sollecitare gli enti locali della nostra Regione, in particolare quelli che ospitano già una sezione carceraria femminile, a stipulare convenzioni con il ministero della Giustizia per “individuare case-famiglia protette sul territorio regionale e permettere ai minori che vivono reclusi in carcere, di soggiornare con le loro madri in un luogo dignitoso di crescita”.
(Francesca Mezzadri)