È Italo Giorgio Minguzzi, l’ideatore del progetto “Fare impresa in Dozza”, che ha permesso di avviare un’attività di officina meccanica all’interno della casa circondariale di Bologna – il carcere della Dozza, appunto -, la prima persona che la Garante regionale delle persone private della libertà personale, Desi Bruno, ha incontrato, insieme alla direttrice del carcere di Modena, Rosa Alba Casella, per cercare di risolvere il problema della carenza di attività lavorative per i detenuti all’interno della struttura modenese.
L’obiettivo è “il coinvolgimento di imprese operanti nel territorio”, spiega la Garante dopo il colloquio con Minguzzi, professore universitario di Diritto all’Università di Bologna, avvenuto durante una visita di Bruno al carcere di Modena la scorsa settimana. Per rispettare la vocazione delle attività presenti nell’istituto, nonché del territorio, l’intenzione è quella di valutare progetti nel settore alimentare.
In linea con gli altri dati regionali, anche a Modena si può considerare conclusa l’emergenza del sovraffollamento: a fronte di una capienza regolamentare di 373 unità infatti i presenti sono 380, di cui 28 donne. Più della metà sono stranieri, per la maggior parte provenienti dal Nord Africa e dall’Est Europa. Sono 212 i condannati in via definitiva, 69 quelli in attesa di primo giudizio, 32 gli appellanti e 46 i ricorrenti; 18 gli ammessi al lavoro all’esterno, un semilibero, un semidetenuto.
Si registra attualmente una forte presenza di detenuti autori di reati sessuali, 95, per cui però “mancano puntuali progetti terapeutici atti a prevenire il rischio di recidiva”.
All’interno del carcere, fa notare Bruno, “vengono applicate correttamente tutte le disposizioni: dal servizio di accoglienza dei nuovi ingressi, con spazi per gli screening sanitari in attesa dell’assegnazione, alla separazione fra imputati e condannati in via definitiva, fino alla sezione per i detenuti dimittendi, con spazi dedicati alla scuola e ai corsi di formazione”.
Non solo, prosegue la Garante; “E’ poi pienamente operativo il regime a celle aperte, con i detenuti che passano più di otto ore al giorno all’esterno della cella, ma soprattutto continua la sperimentazione relativa alla sezione Ulisse, una esperienza unica a livello regionale: circa 50 detenuti, selezionati dalla direzione tra chi ha un grado di pericolosità lieve, trascorrono quotidianamente sei ore in ambienti comuni organizzati per la socializzazione e per la frequentazione dei corsi scolastici, del tutto separati da quelli in cui ci sono le camere di pernottamento”. Al momento, segnala Bruno, tutte le attività previste, oltre alla scuola, sono possibili grazie al contributo del volontariato.
Grande parte della visita, conclude la Garante, è stata dedicata ai colloqui con le persone detenute, durante i quali è stata sollevata, in particolare, “la questione relativa al mancato rispetto del principio di territorialità della pena, con molti detenuti che non sono nell’istituto più vicino alla loro famiglia”.