La Garante regionale delle persone private della libertà personale, Desi Bruno, ha incontrato la direttrice della casa circondariale di Modena, Rosa Alba Casella, ed effettuato colloqui con i detenuti del carcere emiliano. Ha potuto constatare il drastico abbattimento dei numeri relativi alle presenze: il dato, fra i minimi storici, registrava, a fronte di una capienza regolamentare di 373 unità, 330 persone presenti, di cui 19 donne. 198 Gli stranieri. Circa i due terzi dei detenuti è condannato in via definitiva.
Le sezioni risultano tutte “aperte”, anche nella vecchia struttura, con i detenuti che passano più di otto ore al giorno fuori dalla cella. “La misura riguarda anche gli autori di reati sessuali- sottolinea l’Ufficio del Garante nel resoconto del sopralluogo- ora tutti collocati esclusivamente nello stesso ambiente. In termini di presenze, di essi si registra l’ormai stabile e forte caratterizzazione, mancando però puntuali progetti terapeutici in loro favore volti a prevenire il rischio di recidiva”. Si segnala poi “la criticità relativa alla attuale mancanza del magistrato di sorveglianza che ha la titolarità della competenza territoriale sulla struttura, il cui ruolo viene temporaneamente affidato, in funzione di supplenza, ad altri magistrati di sorveglianza”.
Come noto, nelle settimane scorse si sono verificati tentativi suicidari da parte di detenuti (uno dei quali versa attualmente in gravissime condizioni). Inoltre, si sono registrate “plurime aggressioni da parte di detenuti in danno del personale della Polizia penitenziaria”, a cui va la solidarietà dell’Ufficio del Garante regionale, “ma un’opportuna contestualizzazione degli episodi critici fa ritenere che non siano collegati alla piena operatività del regime cosiddetto ‘aperto’”. Infatti, è bene sottolineare “che tali episodi critici, secondo quanto riferito dalla direttrice, non si sono verificati nella sezione Ulisse, in cui la sperimentazione in essere consente a circa 50 detenuti di trascorrere dalle 8.30 alle 17.30 in ambienti comuni organizzati per la socializzazione, del tutto separati da quelli in cui ci sono le camere di pernottamento”. La ricostruzione degli accadimenti “va nel senso di evidenti problemi di gestione del conflitto, anche in ragione della presenza di singoli detenuti che, secondo quanto riferito, hanno posto in essere condotte oggettivamente orientate a turbare l’ordine dell’istituto”. In tale contesto, dove “gli attuali numeri consentono livelli di vivibilità, tanto per i detenuti quanto per il personale, mai raggiunti negli ultimi dieci anni, nonostante gli episodi critici verificatisi, si ritiene che non si debbano assolutamente intraprendere iniziative che vadano nel senso di una regressione trattamentale, orientata alla riduzione della possibilità per i detenuti di passare il proprio tempo al di fuori della cella”. Piuttosto, secondo l’Ufficio del Garante “il vero nodo risiede nella oggettiva carenza di una adeguata offerta trattamentale (al momento tutte le attività previste, oltre alla scuola, sono possibili solo grazie al contributo del volontariato), con particolare riguardo alla cronica carenza di attività lavorative all’interno dell’istituto che possano impegnare con soddisfazione la popolazione detenuta dell’istituto modenese, in gran parte composta da stranieri che non possono usufruire di percorsi alternativi alla detenzione in ragione della mancanza di riferimenti all’esterno, come, peraltro, denunciato a più riprese”.
La stessa Direzione si sta impegnando da tempo “nel senso di valutare opportunità che possano prevedere il coinvolgimento di imprese del territorio per portare lavorazioni all’interno del carcere senza avere, al momento, ancora ricevuto risposte concrete per la progettazione di attività volte al reinserimento dei detenuti”.