Il Sistema di Qualità Nazionale Benessere Animale (SQNBA), portato avanti dai ministeri delle Politiche agricole e della Salute insieme con Accredia, e istituito con l’articolo 224 bis nel decreto rilancio, dovrebbe prevedere la certificazione e l’etichettatura volontaria di prodotti di origine animale che rispettano standard superiori ai requisiti di legge: la certificazione proposta, però, prevedrebbe di etichettare con la dicitura ‘benessere animale’ di fatto anche tutti i prodotti provenienti da scrofe in gabbia e suini che hanno subito il taglio della coda, pratica aggressiva e del tutto contraria al benessere animale, in violazione delle disposizioni contenute nella direttiva europea di protezione dei suini, se effettuata in via sistematica, e, quindi, illegale. Tale certificazione garantirebbe, inoltre, priorità di accesso ai fondi PAC e PNRR, favorendo ancora una volta gli allevamenti di tipo intensivo invece che stimolare la transizione verso sistemi più sostenibili.
A lanciare l’allarme, con un’interrogazione rivolta al governo regionale, è Giulia Gibertoni (Misto), che specifica: “Mentre il mondo si riunisce nella COP26 per affrontare l’emergenza climatica, i ministri del nostro governo si apprestano nuovamente a finanziare lo status quo dell’industria inquinante degli allevamenti intensivi. La possibilità di mettere a sistema i fondi della PAC con le migliori iniziative italiane e il potere d’acquisto dei consumatori per dare vita a una reale transizione verso sistemi più sostenibili sfumerà definitivamente se il progetto di certificazione non sarà rivisto”.
L’attuale proposta per la certificazione volontaria dei prodotti suinicoli, rimarca la capogruppo, “tradisce la fiducia dei consumatori, poiché non fornisce loro informazioni chiare e trasparenti sul metodo di allevamento degli animali, risultando, al contrario, estremamente ingannevole: se il decreto verrà approvato senza opportune modifiche, infatti, chiunque sceglierà di acquistare al supermercato prodotti che recano sull’etichetta l’indicazione ‘benessere animale’, non avrà garanzia alcuna che gli stessi provengano soltanto da allevamenti che adottano standard superiori ai requisiti minimi di legge. Il rischio è anche quello di trovarsi a pagare di più per prodotti ottenuti con metodi di allevamento intensivo, esattamente gli stessi di oggi. In spregio alla sostenibilità e al benessere animale di cui l’etichetta dovrebbe porsi a garanzia”.
Giulia Gibertoni, quindi, chiede l’intervento dell’esecutivo regionale, per “scongiurare un’etichettatura ingannevole ed evitare che maltrattamenti animali vengano fatti passare per benessere animale, tradendo anche la fiducia dei consumatori, che chiedono allevamenti sostenibili”.
(Cristian Casali)