Dal rapporto di Antigone sulla detenzione femminile, pubblicato pochi giorni fa, emerge che in Italia l’affollamento delle sezioni femminili è del 115 per cento, contro il 113,7 per cento degli uomini. Il 12,4 per cento delle donne in carcere ha diagnosi psichiatriche gravi (rispetto al 9,2 per cento dell’intera popolazione carceraria). Le donne hanno condanne più leggere rispetto agli uomini (i reati maggiori sono quelli contro il patrimonio) mentre sono solo 12 quelle sono sottoposte al 41 bis. Una detenuta su due lavora, mentre il 7,1 per cento risulta analfabeta. Per le donne, inoltre, è in crescita la detenzione domiciliare. Negli ultimi 10 anni le donne straniere detenute nelle carceri italiane sono diminuite, tanto che attualmente sono il 30,5 per cento del totale.
La linea tracciata dall’associazionismo carcerario (come, ad esempio, Antigone, Teatro del Pratello, Gomito a gomito e Altro diritto, di Bologna, MaMiMò di Reggio, Technè di Forlì e Fondazione teatri di Piacenza) nel corso del seminario “Quando il carcere è al femminile” è chiara: “Il lavoro viene prima di tutto, perché le donne non sanno oziare, sono creative e sono responsabili, necessitano di percorsi di trattamento penitenziario su misura”. Dall’associazionismo è stata rimarcata l’importanza di sviluppare, parallelamente, progetti culturali: “Si tratta di una componente da non sottovalutare, rivolta al reinserimento sociale. A partire da percorsi scolastici ma anche formativi come quelli artistici, che sono numerosi in regione, come ad esempio i progetti teatrali che prevedono il coinvolgimento di persone detenute”. Serve poi particolare attenzione sul tema dei diritti: “La detenzione femminile si può migliorare, a livello legislativo ma anche semplicemente amministrativo perché le donne devono avere le stesse opportunità degli uomini”.
Illuminante l’esperienza di una dipendente di Gomito a gomito, Joy Sunday, ex detenuta e ora in affido con l’assistenza sociale: “Ho imparato un mestiere, che per me rappresenta il futuro. Si tratta di una grande opportunità, di un percorso che mi ha aiutato e mi aiuta tanto, perché mi ha dato il modo di ripartire”.
Marco Bonfiglioli, del Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria per l’Emilia-Romagna e le Marche, ha ribadito che “serve un’attenzione particolare, parliamo di una componente carceraria che ha bisogni diversi rispetto agli altri detenuti”. Quindi, ha sottolineato come “per queste donne servano percorsi dedicati, trattamenti su misura, nuove opportunità, e conseguentemente risorse riservate”. Parallelamente, ha evidenziato Bonfiglioli, “è necessario pensare per queste donne a modalità alternative al carcere”.
Sulla stessa linea i vertici delle strutture carcerarie regionali in cui sono presenti sezioni femminili, a partire da Rosa Alba Casella, Palma Mercurio e Gabriella Lusi, rispettivamente direttrici delle strutture carcerarie di Bologna, Forlì e Piacenza: “Per queste donne servono percorsi di trattamento penitenziario su misura, con il coinvolgimento dei territori. Percorsi che non possono essere slegati da quella che è la storia di queste persone. È quindi fondamentale che le detenute conservino i legami familiari. L’obiettivo deve essere quello di alleggerire le sezioni femminili e serve un lavoro di rete. Le detenute rappresentano una minoranza rispetto al totale dei detenuti, sono una risorsa, propense a studiare e lavorare”.
(Cristian Casali)