Una risoluzione bipartisan chiede alla giunta di impegnarsi con il governo per far accogliere “le richieste di associazioni di persone vittime della talidomide, in relazione agli indennizzi riconosciuti dalle leggi alle persone la cui disabilità è derivata dall’utilizzo di tale farmaco da parte della madre durante la gravidanza”.
Il documento del primo firmatario, il consigliere Giuseppe Paruolo (Partito democratico), è stato sottoscritto anche da Matteo Daffadà, Marcella Zappaterra, Manuela Rontini e Mirella Dalfiume (del Pd), Silvia Zamboni (Europa verde), Giulia Gibertoni (Gruppo misto), Marta Evangelisti (Fratelli d’Italia) e Silvia Piccinini (Movimento 5 stelle).
Il testo a prima firma Paruolo prevede alcuni punti ben precisi per sostenere la richiesta fatta al governo.
La talidomide è un principio attivo mescolato e/o aggiunto ad altri farmaci. Dal 1954 in poi è venduto in associazione ad altri farmaci per dare effetti sedativi, antinausea e ipnotici. Se assunta in gravidanza, infatti, la talidomide causa gravissime malformazioni ai nascituri. Dal 2008 lo Stato riconosce un indennizzo ai nati tra il 1959 e il 1965. Nel 2016 lo Stato è nuovamente intervenuto sulla disciplina dell’indennizzo con il Decreto-Legge n. 133/2016 “Misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio” prevedendo “che il riconoscimento dell’indennizzo spetti ai soggetti affetti da sindrome da talidomide nelle forme dell’amelia, dell’emimelia, della focomelia e della micromelia nati negli anni 1958 e 1966”.
Molti cittadini hanno presentato ricorso contro i dinieghi e la Corte costituzionale ha dato loro ragione giudicando incostituzionale un articolo del decreto legge 133/2016 (prevede la successiva decorrenza per i nati tra il 1958 e il ’66) “in quanto discriminatorio tra persone danneggiate dal principio attivo della talidomide”.
(Gianfranco Salvatori)
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