Il Tribunale di Ferrara ha respinto l’opposizione di una Cooperativa di pesca e ha confermato che il regolamento adottato dall’assemblea dei soci, nella misura in cui prevede che il guadagno dei soci è ridotto se essi sono legati da vincolo di affetto, viola le norme poste a tutela della parità di trattamento, segnatamente gli articoli 25, 27 e 28 del decreto legislativo 198/2006 (CODICE PARI OPPORTUNITA’). Confermato anche il risarcimento del danno non patrimoniale (20mila euro) in favore dell’Ufficio della Consigliera di Parità Regionale quale soggetto che presidia l’interesse pubblico leso e soprattutto confermata anche la funzione dissuasiva e latamente sanzionatoria del danno avuto riguardo alla condotta della Cooperativa che ha adottato durissime reazioni nei confronti dei soci che avevano contrastato il regolamento.
“Continua l’azione dell’Ufficio Regionale della Consigliera di parità– dichiara Sonia Alvisi– per la promozione di una cultura di parità di genere non solo attraverso l’assidua prassi conciliativa ma, anche quando queste azioni non risultano sufficienti, con la strada giudiziale. Le somme riconosciute dalle sentenza a titolo di risarcimento del danno saranno utili all’Ufficio per dare sempre maggiore effettività alle norme che tutelano la parità di genere”.
Nel merito, il Tribunale di Ferrara ha chiarito come la discriminazione attuata dal Regolamento sia indiretta nei confronti delle donne riguardo agli ambiti dell’accesso al lavoro, dato che provoca l’effetto di disincentivarne l’ingresso o la permanenza all’interno della compagine sociale di fronte alla prospettiva concreta di non vedersi riconosciuta pari capacità di guadagno rispetto al socio uomo. Ciò in quanto la cooperativa è composta in maniera assolutamente prevalente da soci maschi e conseguentemente le donne che si trovino a voler entrare nella cooperativa (o già socie insieme al proprio compagno) si troverebbero a lavorare in condizioni penalizzanti in termini di guadagno.
Secondo il Tribunale, poi, l’effetto discriminatorio della clausola risulta ancora più palese se si confronta con i dati Istat prodotti alla XI Commissione (Lavoro Pubblico e Privato) della Camera dei deputati nel novembre 2020, dati che attestano come “La conciliazione dei tempi di lavoro e di vita è un’area particolarmente critica per il nostro paese. Le ragioni vanno ricercate …(tra l’altro) in una ripartizione del lavoro domestico e di cura all’interno della famiglia ancora squilibrata a sfavore delle donne che costringe spesso le madri a rimodulare le attività extradomestiche in funzione del lavoro di cura”. E’ dunque inevitabile, conclude il Tribunale, benché la regola dettata dal regolamento non sia declinata al femminile, giungere alla conclusione che a scegliere di rimanere a casa sarebbe la donna e non l’uomo.
Il Tribunale, inoltre, ha confermato l’inesistenza di una qualche ragione sufficiente a giustificare la discriminazione indiretta. Infatti, in primo luogo non è stata provata dalla Cooperativa, né individuata, una reale volontà di estendere il numero delle famiglie destinate a godere dei proventi dell’attività di pesca nell’interesse della comunità locale. La regola fa riferimento unicamente ai rapporti di coppia con esclusione degli altri vincoli di parentela e non tiene conto, ai fini della sua applicazione, nemmeno della condivisione fra i soci delle necessità di sostentamento e di accudimento.
Il Tribunale di Ferrara, infine, ha accertato che la regola contrasta anche con l’art. 27 del Codice delle Pari Opportunità, che vieta qualsiasi discriminazione attuata con il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia, nonché con l’art. 28 del Codice, che vieta la discriminazione retributiva applicabile da ritenersi applicabile anche al lavoro autonomo.