Per garantire la piena partecipazione alla vita collettiva delle persone con sordità servono sia soluzioni pratiche, come la revisione del Nomenclatore tariffario “che è ancora fermo al 1999 e non contempla gli ausili tecnologici più recenti che permettono invece di abbattere le barriere comunicative”, che “formazione e informazione rivolta a chi interagisce con una persona sorda in qualunque ambito lavorativo, a partire dal pubblico impiego”.
A sostenerlo sono i referenti emiliano-romagnoli dell’associazione Fiadda – Famiglie italiane associate per la difesa dei diritti degli audiolesi, che la commissione Politiche per la salute e politiche sociali ha ascoltato questa mattina in audizione: si tratta di una associazione che si occupa di chi soffre di sordità gravissima in età pre-verbale, una condizione che riguarda circa 4000 persone in Emilia-Romagna.
I consiglieri, che nel corso di una precedente seduta della commissione avevano già avuto modo di incontrare un’altra associazione che si occupa di persone con sordità, hanno raccolto tutti i suggerimenti presentati dalla Fiadda, a partire dall’ “uso sistematico della sottotitolazione nello streaming delle sedute dell’Assemblea legislativa, così da permetterci di seguire i lavori della Regione e vederci riconosciuto il nostro diritto costituzionale alla partecipazione”.
Secondo la Fiadda, “è di fondamentale importanza tutelare le linee guida per lo screening obbligatorio delle sordità nei neonati, perché permettono una diagnosi, e quindi un intervento protesico abilitativo, precoce: è il presupposto basilare per una buona capacità di ascolto e di utilizzo della lingua italiana orale e scritta”, spiegano i referenti. Tra le altre richieste “la sottotitolazione di qualunque evento pubblico, la possibilità di utilizzare sempre le comunicazioni scritte e il sostegno per l’acquisto di dispositivi tecnologici, senza quelli la sordità diventa handicap”.
Tra le principali criticità, la Fiadda sottolinea “i diversi segnali di allarmante regresso qualitativo e quantitativo degli interventi sanitari e sociali” e il fatto che “le risorse dedicate non sono poi sempre effettivamente stanziate”.
(jf)