Rappresentano “solo” il sei per cento della popolazione straniera lungo la via Emilia, in particolare a Reggio Emilia, Modena e Bologna, contribuendo a fare della nostra una delle regioni più pluraliste dal punto di vista religioso in Italia: un mosaico interessante e cosmopolita in forte crescita, che avvicina l’Emilia-Romagna al mondo. Cittadini integrati nel tessuto regionale, hanno edifici di culto stabili. Alle loro filosofie religiose si sono avvicinati anche tanti italiani.
Stiamo parlando degli oltre 32mila immigrati in Emilia-Romagna che professano religioni orientali come buddhismo, induismo e sikhismo. Il dato emerge da Religioni orientali in Emilia-Romagna, ricerca-pubblicazione realizzata dall’Assemblea legislativa regionale dell’Emilia-Romagna in collaborazione con il Dipartimento di storia, culture e civiltà-Università di Bologna e il Gruppo di ricerca e informazione socio-religiosa con l’Osservatorio sul pluralismo religioso.
“Il volume è il terzo capitolo di una peculiare e puntuale mappatura dei luoghi di culto e delle confessioni religiose tra il Po e l’Adriatico che abbiamo realizzato insieme all’ateneo di Bologna e all’Osservatorio sul pluralismo religioso: dopo le religioni monoteiste ci è sembrato giusto estendere l’attenzione anche a fedeli di religioni orientali, stranieri o italiani che siano”, spiega Simonetta Saliera, presidente dell’Assemblea legislativa regionale dell’Emilia-Romagna, che ricorda come “ricerche e pubblicazioni come queste servono a conoscersi meglio, a superare stereotipi e luoghi comuni e a rispettarsi reciprocamente”.
Nella mappatura degli stranieri residenti in regione circa il 6 per cento di fedeli orientali (buddhisti 3,2 per cento, induisti 1,3 per cento e sikh 1,5 per cento) si affianca alle due grandi “corazzate della fede”, cristiani (53 per cento del totale, in maggioranza ortodossi) e musulmani (33,4 per cento) e rappresentano un mondo particolarmente variegato, multiforme e di grande attrattività. Per quanto riguarda buddhismo e induismo si segnala un significativo numero di cittadini italiani che seguono le pratiche arrivate dall’oriente o, nella maggior parte dei casi, che le affiancano alla loro religione di nascita.
Scorrendo le varie confessioni orientali si scopre che la più radicata e culturalmente marcata è quella dei sikh. Originari dell’India, i sikh in Italia sono 100mila, di cui 10mila in Emilia-Romagna (regione seconda solo alla Lombardia, che ne ospita 33.000). Residenti soprattutto nella provincia di Reggio Emilia, i sikh emiliano-romagnoli sono ormai una componente stabile e radicata della comunità regionale, tanto che tra Rimini e Piacenza ci sono ben sette Gurdwara, i loro tradizionali templi. Un numero molto alto considerato che nessun’altra regione italiana ne ha una quantità così elevata, si tratta dello stesso numero di luoghi di culto sikh presenti in Lombardia, regione che conta però tre volte tanto il numero di fedeli rispetto all’Emilia-Romagna.
Più complessa, invece, la situazione degli induisti: sono appena 7.400 tra gli stranieri, ma il numero lievita di molto se si tengono in conto gli italiani affascinati dall’oriente che hanno deciso di professare queste filosofie religiose anche attraverso pratiche come lo yoga o altre forme di meditazione orientale. Gli stranieri induisti sono numericamente bassi, ma di sicuro radicati nel territorio, tanto che l’Emilia-Romagna ospita tre templi (Novellara, Polesine Parmense e Reggio Emilia).
Discorso analogo può essere fatto per i buddihsti: radicati e in crescita non solo nei tradizionali gruppi etnici, ma con una grande ascendente sugli italiani, tanto che, secondo alcune stime, la maggior parte dei buddhisti sarebbero italiani.
Un capitolo a parte e molto dettagliato della ricerca riguarda i cinesi e il loro rapporto con la fede: dei 30.400 residenti in Emilia-Romagna, il 52,2 per cento si dichiara ateo, il 21,9 per cento dice di professare religioni popolari, il 18,2 per cento è buddhista, il 5,1 per cento è cristiano (di cui il 4,4 per cento protestante), mentre solo l’1,8 per cento è musulmano. Quando si passa dai dati quantitativi a quelli qualitativi si scopre che le relazioni tra le comunità cinesi cattoliche e quelle cinesi buddhiste (e tra queste due e il resto dell’Emilia-Romagna) sono molto forti, mentre le comunità cinesi di fede protestante sono più introverse e non hanno grandi rapporti con l’esterno e con gli altri cinesi. Di grande interesse anche il rapporto con le festività religiose tradizionali: l’unica festività celebrata da tutti i fedeli è il capodanno cinese, che non sempre viene festeggiato come da calendario: la data viene variata in base alle esigenze lavorative (non essendo il capodanno cinese una ricorrenza riconosciuta dalla legislazione sul lavoro italiana) e accorpata a festività cristiane, per dare la possibilità alle famiglie di riunirsi.
Il volume Religioni orientali in Emilia-Romagna, oltre che essere presentato in convegni pubblici organizzati dall’Università di Bologna, sarà oggetto di studio per gli allievi del Dipartimento di storia, culture e civiltà dell’Alma Mater.