“I talebani sono criminali. Chiediamo al governo di non riconoscere il loro esecutivo”.
La drammatica crisi dell’Afghanistan arriva in Assemblea legislativa attraverso una seduta congiunta delle commissioni Parità, presieduta da Federico Alessandro Amico, e Cultura, presieduta da Francesca Marchetti.
A parlare sono coloro che hanno vissuto sulla propria pelle il crollo del governo afgano, lo scorso agosto, il ritiro “degli occidentali” e il ritorno dei talebani e del fanatismo religioso. Parlano in inglese, ma nemmeno l’asetticità delle traduzioni cancella il dolore e l’orrore che emerge da ogni singola parola.
Drammatica la testimonianza di Nawin Abdullah Reha, responsabile del Focal Point Human Rights nella provincia di Takhar, che ha ricordato come “negli anni ’80, per contrastare l’Unione Sovietica e i partiti di sinistra, gli Stati Uniti hanno finanziato e fatto crescere i movimenti islamisti. La drammatica situazione attuale del popolo afghano è la conseguenza delle politiche della Nato e degli Stati Uniti”. Parole molto dure che ripercorrono le vicende internazionali degli ultimi 40 anni, fino ai giorni nostri. E che si concludono con un quadro fosco dell’oggi: “I Talebani hanno conquistato il potere grazie a un accordo vergognoso (con gli Usa, ndr). Pretendono di imporre leggi vecchie di oltre mille anni, come il divieto di ballare e l’obbligo, per gli uomini, di portare la barba lunga. Le donne non possono uscire di casa se non accompagnate e gli uomini non ne devono sentire i passi”. Il quadro raccontato da Reha è drammatico: “I talebani sono un gruppo terroristico, costringono chi non la pensa come loro a girare con la faccia pitturata, sono responsabili di massacri di civili e della distruzione di importanti siti archeologici: chiedo al governo italiano di non riconoscere il governo talebano”.
Di grande impatto umano anche la testimonianza di Ghafoori Abdul Wodood, collaboratore COSPE Onlus nella gestione dei progetti a supporto dei diritti umani e delle donne, per il quale “l’arrivo dei talebani è stato improvviso e le persone quando hanno sentito che le forze occidentali si ritiravano hanno perso ogni speranza: correvano per le strade chiedendo dove potevano scappare per rifugiarsi e provare a salvarsi. Ci sono persone che hanno provato a scavalcare i cancelli, ma i bambini non ce la facevano”. Wodood è testimone anche del dramma e del doloro non solo di chi ha scoperto solo all’ultimo momento che non poteva mettersi in salvo in Occidente, ma anche di chi “ha dovuto dire alla popolazione che non c’era spazio per tutti: non capiamo come i talebani abbiano avuto accesso agli elenchi di coloro che hanno collaborato con i governi occidentali e le associazioni per i diritti umani”. Anche da Wodood un appello al governo italiano, a cui viene riconosciuto il grande lavoro fatto: “Non serve solo la pur necessaria accoglienza dei profughi, ma il sostegno alle realtà che sono rimaste là e che lottano, ci sono tante persone che sono in grande pericolo di vita”.
(Luca Molinari)