L’attenzione sul Myanmar resti alta e si sostengano in ogni sede competente “le iniziative per un’immediata cessazione delle violenze sui civili, per la liberazione di tutte le autorità elette democraticamente in quel Paese e per il deferimento dei responsabili dei massacri al Tribunale penale internazionale”. Allo stesso tempo, si sostenga la popolazione, si condannino le violenze e si assicuri il monitoraggio e l’attenzione sulla crisi, considerando che Aung San Suu Kyi, “vittima negli anni passati di una campagna di screditamento internazionale da parte dei militari”, per i birmani resta “l’emblema delle loro battaglie per la democrazia, la leader che vorrebbero vedere libera e governare il Paese”. Inoltre, si solleciti l’Unione europea a promuovere azioni comuni con i partner asiatici e con l’Asean per una soluzione pacifica della crisi in Myanmar. Infine, si sostengano le associazioni emiliano-romagnole impegnate “in progetti umanitari, di aiuto sociale e sanitario immediato alla popolazione birmana” e “a rinsaldare i rapporti instaurati negli anni, anche attraverso il Piano di cooperazione internazionale allo sviluppo in corso di definizione, per contribuire allo sviluppo democratico del Paese asiatico”.
Questi gli aspetti salienti della risoluzione sottoscritta da Roberta Mori (Partito democratico), prima firmataria, e da altri consiglieri di maggioranza in cui si chiede alla Giunta di non far spegnere i riflettori sulle violenze in corso, da parte dei militari golpisti, contro i cittadini del Myanmar.
Il primo febbraio 2021, giorno dell’insediamento del Parlamento, i militari hanno messo in atto un golpe, arrestando il presidente della Repubblica U Win Myint e la ministra degli Esteri Aung San Suu Kyi (non si hanno notizie né sulle sue condizioni né sul luogo dove sia detenuta), insieme con centinaia di attivisti, monaci, giornalisti, donne, uomini e ragazzi. Le proteste contro il golpe sono state represse duramente dall’esercito e, secondo dati di Amnesty e Save the Children, ci sarebbero circa 300 morti – tra cui bambini e bambine – con il “picco di sangue del 27 marzo, quando in diverse città birmane le forze militari hanno massacrato almeno 91 persone inermi tra cui un bambino di cinque anni”.
A condannare il colpo di stato e le violenze sono stati l’Onu, la Ue, gli Usa che temono una destabilizzazione dell’area. Anche il Parlamento italiano ha chiesto la cessazione delle violenze, il rilascio dei fermati e l’arresto dei responsabili delle uccisioni di civili.
Dopo la transizione democratica del 2011 (seguita a 50 anni di dittatura militare), il Paese ha seguito regole democratiche, aprendosi ai mercati e migliorato le condizioni di vita dei cittadini. La brutale repressione contro i Royingha (minoranza musulmana), ricorda Mori, è “stata orchestrata dalle forze armate per ledere l’immagine interna e internazionale di Aung San Suu Kyi, facendo leva sui radicati sentimenti di ostilità verso i Royingha da parte dell’opinione pubblica birmana, maggioritariamente buddista”.
L’Emilia-Romagna “ha avuto e ha tuttora rapporti significativi con il Myanmar anche grazie ad associazioni solidaristiche e culturali quali l’Associazione amici della Birmania, con sede a Parma, e l’Associazione parlamentare Amici della Birmania” che si sono battute per liberare Aung San Suu Kyi e che chiedono il ripristino della pace e della democrazia. La Regione, afferma inoltre Mori, ha sostenuto progetti di solidarietà con il Piano di cooperazione 2019 e nel 2013 la leader birmana è stata a Bologna dove ha ricevuto la laurea ad honorem.
L’atto di indirizzo è stato sottoscritto anche dai consiglieri Marcella Zappaterra, Palma Costi, Marilena Pillati, Andrea Costa, Nadia Rossi, Silvia Zamboni (Europa Verde) e Federico Alessandro Amico (ER Coraggiosa).