La maggioranza di centrosinistra, pur rilevando ritardi negli stanziamenti del governo sul welfare, promuove il piano regionale contro la povertà, sottolineando come le risorse stanziate siano adeguate. Al contrario, la minoranza di centrodestra ritiene non sufficienti le misure proposte, chiede più coraggio e sollecita azioni più innovative. Con il voto favorevole di Pd, Avs, Civici, M5s, e l’astensione di FdI, FI, Rete civica e Lega, l’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna ha approvato il piano regionale per il contrasto alla povertà: in Emilia-Romagna nel triennio 2025-2027 verranno investite risorse pari a 124 milioni di euro.
Nel dettaglio le risorse investite sul piano nel prossimo triennio sono così ripartite: dal fondo nazionale povertà provengono quasi 62,5 milioni, dal fondo nazionale povertà estrema 5,2 milioni di euro, dal Pnrr 36,4 milioni, dai fondi Fse-Integra quasi 8 milioni di euro, oltre a 12,3 milioni di euro, solo sul 2025, per il rafforzamento del servizio sociale professionale secondo una quota quantificata annualmente.
In Emilia-Romagna, come nel resto d’Italia, le forme di povertà sono in aumento: le famiglie che vivono in condizioni di povertà relativa sono stimate in circa 132mila, il 6,4% del totale (nel 2019, prima del Covid, erano il 3,2%). Le persone in situazione di marginalità estrema, invece, sono 8.400: si tratta di donne per il 28,3% e di uomini per il 71,7% (il 28,6% con cittadinanza italiana e il 71,3% con cittadinanza Ue ed extra Ue). Va comunque rilevato che in regione il reddito medio mensile per famiglia è di circa 3.600 euro al mese (fra i più alti d’Italia).
Un ambito strettamente connesso alla povertà è quello del mercato del lavoro: il tasso di occupazione (15-64 anni) in Emilia-Romagna si attesta al 70,3% (comunque contro il 62,2% di media nazionale). Il divario di genere è ancora significativo: pari a 14,2 punti percentuali in Emilia-Romagna (contro i 17,8 punti a livello nazionale). Anche il tasso di disoccupazione si attesta sui livelli minimi dell’ultimo decennio: pari al 4,4% in regione, con una diminuzione rispetto al 2019 dell’1,2 %. Il tasso di mancata partecipazione al lavoro (che indica la percentuale della popolazione in età lavorativa che non è occupata e non è attivamente alla ricerca di un’occupazione) mostra una tendenza di decrescita. Per completare il quadro sulla situazione occupazionale, consideriamo il fenomeno NEET (Not in Employment, Education or Training) ovvero dei giovani tra i 15 e 29 anni non più inseriti in percorsi scolastici o formativi né tantomeno impegnati in un’attività lavorativa: in Emilia-Romagna il fenomeno riguarda circa un giovane su dieci (9,6%), una percentuale, comunque, decisamente inferiore alla media nazionale (15,2%).
Il dibattito
Il confronto in Assemblea legislativa sul piano è iniziato alcune settimane fa, prima con la presentazione in commissione Sanità e poi con l’avvio del dibattito in Aula. Il piano è stato presentato dall’assessora regionale Elena Mazzoni, per la quale “questo è un piano che analizza le povertà nel suo complesso, oltre all’entità numerica del disagio economico serve analizzare anche la natura e l’evoluzione delle sue cause, questo per definire politiche pubbliche efficaci: occorre, prima di tutto, intervenire su quelle forme di vulnerabilità generate da trasformazioni recenti del contesto sociale, economico e culturale”. Mazzoni ricorda come “inizialmente si partirà dalle situazioni di emergenza per poi ampliare progressivamente il sostegno alle altre fasce vulnerabili, con una gestione mirata delle risorse: proponiamo un piano che mette insieme servizi sociali, patti di inclusione, interventi per la povertà estrema, misure innovative come microcredito sociale, recupero alimentare e comunità energetiche solidali”.
Parole, quelle di Mazzoni, che hanno dato il via al confronto fra i consiglieri regionali.
“Parliamo – interviene Pietro Vignali (FI) – di un documento di oltre novanta pagine, un elenco di buone intenzioni che rischiano però di rimanere sulla carta. Mancano dati aggiornati e la povertà delle famiglie sta aumentando in modo costante”. Prosegue: “Servono dati aggiornati, l’Emilia-Romagna non è più un modello, cresce la vulnerabilità economica degli emiliano-romagnoli, anche per il ceto medio, e servono nuove opportunità, a partire dal tema del lavoro. Il piano non è attuabile, rimane propaganda”.
Per Gian Carlo Muzzarelli (Pd) “serve partire dalla convinzione che combattendo la povertà si realizza una comunità regionale più solida, serve superare le difficoltà e attivare misure di accompagnamento e di integrazione, partendo dal tema del lavoro (anche rispetto al fenomeno dell’immigrazione). La finanziaria del governo nazionale non risolve nulla, è di sopravvivenza”. Prosegue: “In regione vivono in povertà circa 139mila famiglie, il 6,8% del totale. Non possiamo rassegnarci a questo problema, le povertà vanno aggredite, investire nel sostegno ai più deboli si traduce in un ritorno economico e sociale per tutta la comunità”.
“È sempre colpa del governo Meloni, ma le risorse del piano regionale arrivano in buona parte dal piano nazionale sulla povertà. L’obiettivo in Emilia-Romagna deve essere quello di diminuire il numero dei poveri, cosa che non accade mai. In primis servono aiuti immediati per le famiglie, anche con beni di prima necessità. Occorrono poi servizi di orientamento al lavoro con percorsi formativi collegati”, rimarca Nicola Marcello (FdI).
La disamina di Tommaso Fiazza (Lega) parte dal tema della cittadinanza. “I dati confermano come, nel corso degli ultimi 10 anni, l’incidenza della povertà assoluta fra le famiglie composte esclusivamente da stranieri sia aumentata di 10 punti, passando dal 25,2% del 2014 al 35,2% del 2024. In Emilia-Romagna sono oltre 8mila le persone in povertà assoluta, in gran parte ex minori stranieri non accompagnati o persone uscite dal percorso dei centri di accoglienza. Restano esclusi da questo computo coloro che sono arrivati illegalmente, si sono visti rifiutare la protezione e continuano a permanere sul territorio. A dimostrazione che l’immigrazione irregolare non porta ricchezza, ma ha favorito la nascita di una schiera di lavoratori sottopagati e ha fatto aumentare le persone mantenute dal nostro welfare”. Sulla programmazione 2025-2027 Fiazza fa notare “che si parla di un triennio e il primo anno è già passato: ci auguriamo maggiore puntualità per il futuro”.
Per Priamo Bocchi (FdI) “manca un approccio innovativo al tema della povertà in grado di individuare interventi diversi e puntuali”. “Si avverte la mancanza di una piattaforma digitale che metta in raccordo le attività svolte dagli enti del terzo settore che svolgono un compito importantissimo”, afferma. Bocchi evidenzia anche il fatto che, su 8.403 segnalazioni di persone in povertà estrema, 1.253 appartengono al comune di Parma. “Su questo serve un chiarimento perché o a Parma c’è una situazione fuori controllo, o Parma è l’unica che ha fornito i dati. E, se così fosse, sarebbe preoccupante, perché significherebbe che ci basiamo su dati parziali e sconclusionati”.
“Un documento – rimarca Giancarlo Tagliaferri (FdI) – che mette a sistema fondi e programmi diversi, ma il punto politico, che deve interrogarci, è la capacità del piano di trasformare le risorse in risultati concreti. Serve una visione, serve un modello che restituisca dignità a chi vive una situazione di fragilità, talvolta estrema”. Prosegue sul tema casa: “Sui territori vediamo ogni giorno un progressivo impoverimento abitativo, i costi collegati alla casa salgono e la Regione Emilia-Romagna deve fare di più, in quanto è inaccettabile che mentre 8mila persone in regione vivono in povertà estrema tanti alloggi pubblici siano sfitti per lentezze burocratiche”. Conclude: “Su questo piano le risorse regionali sono limitate, la nostra giunta gestisce risorse nazionali e serve però trasparenza su come vengono spesi questi fondi e sui risultati raggiunti”.
Per Alberto Ferrero (FdI) “serve ricercare le cause della povertà; nella relazione al piano si legge di disoccupazione, di povertà educativa e di crisi abitativa, poi si cita la disgregazione del nucleo famigliare, naturale ammortizzatore sociale”. Entra nello specifico: “La famiglia deve essere tutelata, in quanto è un antidoto alle povertà. Se si disgrega, i legami solidaristici vengono meno, ma da sinistra la famiglia è ormai considerata antiquata”.
“Con questo piano – sottolinea Lorenzo Casadei (M5s) – parliamo di persone, dai più giovani ai più anziani. Parliamo di fragilità e con questo documento apriamo una porta, proponendo percorsi, non sussidi”. Prosegue: “Da Roma il taglio sulle povertà è evidente, a partire del reddito di cittadinanza, e oggi si attacca anche l’assegno di inclusione. Invece, è importante ridare dignità alle persone. I dati Istat ci dicono che in Italia 2,2 milioni di famiglie vivono in povertà assoluta (l’8,4%)”. Conclude sul piano regionale: “Dobbiamo sostenere tutte queste azioni, anche con l’utilizzo di tecnologie per andare a cercare tutte le forme di povertà”.
“Il ceto medio oggi galleggia mentre tante famiglie non hanno possibilità di risparmiare e sono quindi costrette a vivere mese per mese” evidenzia Vincenzo Paldino (Civici), che mette in luce anche l’impegno della Regione sia sulle politiche per la casa sia per il contrasto al cosiddetto “caro-bollette”, attraverso la promozione delle comunità energetiche. “Il nostro compito è cercare di ridurre il numero delle persone in povertà, con particolare attenzione ai giovani, avendo uno sguardo sulle generazioni future e senza perdersi in polemiche quotidiane”.
Secondo Marta Evangelisti (FdI) “un piano per il contrasto alla povertà deve avere una visione chiara, che parta dai bisogni reali delle persone e dalla volontà di restituire dignità e non dipendenza”. “Prima di parlare di strategie, dobbiamo ricordare che dietro le percentuali e i numeri ci sono persone, nuclei familiari, che aspettano risposte – afferma -. In Emilia-Romagna il numero delle famiglie considerate povere è aumentato, il contesto è mutato ma il piano ripropone misure uguali alle ‘edizioni precedenti’. Ribadisco che il governo nazionale si è attivato anche con l’ultima manovra, destinando 3,5 miliardi di euro alle politiche per la famiglia e per il contrasto alle povertà e mettendo mano alla revisione dei parametri ISEE da tempo attesa: una solidarietà che responsabilizza e non un assistenzialismo che immobilizza”.
Per Simona Lembi (Pd) “in Emilia-Romagna i numeri non lasciano scampo: le famiglie povere dopo il Covid sono raddoppiate, c’è un lento scivolamento verso una situazione di emergenza. Si tratta di fratture nelle dinamiche sociali in cui si inseriscono germi come il disagio sociale”. Prosegue: “La nostra regione locomotiva d’Italia e d’Europa sta reagendo, l’Emilia-Romagna appena un secolo fa era una terra povera, poi una generazione di amministratori locali ebbero la lungimiranza di lavorare sulla ridistribuzione della ricchezza, programmando lo sviluppo di intere masse. Anche oggi scegliamo di non lasciare indietro nessuno con 124 milioni di euro per intervenire su questi problemi, mentre da Roma non c’è la stessa spinta”.
“Il piano – sottolinea Annalisa Arletti (FdI) – fotografa con chiarezza una realtà drammatica e mostra il fallimento di una stagione di politiche sociali. I dati sono inequivocabili: la povertà è in aumento. A Bologna ci sono famiglie che lavorano e che hanno un tetto sulla testa ma che devono comunque tagliare sulla sanità. Molti cittadini sono stati lasciati soli”. Entra poi nello specifico: “L’Emilia-Romagna si vanta di essere un’eccellenza sul sociale ma molte persone sono in difficoltà, il sistema non riesce più a reggere, l’assistenzialismo ha fallito, non basta distribuire sussidi per contrastare le diseguaglianze, così semplicemente si aumenta la spesa, si crea dipendenza e non responsabilità. Solo con il lavoro si crea libertà, serve cambiare rotta”.
“Questo piano – rimarca poi Fabrizio Castellari (Pd) – ha un valore fondamentale: sono 132mila le famiglie in difficoltà in questa regione, più di 8mila le persone in povertà estrema e il dato rispecchia la situazione nazionale. Serve invertire una narrazione che nega il fatto che l’Italia si sta impoverendo”. Prosegue: “Non va tutto bene, in questa dimensione l’Emilia-Romagna prova a fare un passo in più verso la solidarietà. L’idea è quella di una comunità che si tiene per mano. Serve prendersi cura delle persone, aiutare i poveri è una questione di giustizia prima che di carità”.
Marco Mastacchi (Rete civica) si sofferma sul tema della povertà abitativa “che è una questione sociale e culturale, incide sull’accesso ai servizi, sull’inclusione, sulla qualità della vita. Per questo è necessario un approccio integrato, che coinvolga società civile, comunità locali, mondo delle imprese”. Mastacchi evidenzia la valenza strategica delle associazioni e degli enti del terzo settore “che rappresentano un presidio sociale insostituibile”. “Investire sul terzo settore significa investire nella coesione sociale – prosegue -. E non va dimenticato il ruolo dei caregiver, un esercito silenzioso a cui va riconosciuto il giusto valore, perché l’invecchiamento della popolazione impone nuove risposte”. Infine, il tema dei minori non accompagnati: “L’attuale modello di accoglienza creerà problemi in futuro, perché a questi ragazzi diamo un tetto, è vero, ma se non diamo loro socialità ed educazione rischiano di diventare preda della delinquenza”, conclude.
Giovanni Gordini (Civici) rimarca come alcune politiche nazionali “non aiutino a incrementare la percentuale di coloro che possono usufruire di queste forme di supporto, che non sono assistenzialismo”. “E’ bene ricordare – prosegue – che la Regione Emilia-Romagna negli anni ha messo in campo strategie consolidate, come quelle del recupero alimentare e dell’assistenza sanitaria ai senza fissa dimora: oggi approviamo una serie di provvedimenti che, sia chiaro, non sono risposte definitive e che devono essere accompagnate dal monitoraggio costante, sviluppando sempre più la capacità di dare risposte, insieme alle comunità dei cittadini e al terzo settore. Il tutto, leggendo sempre con grande attenzione i dati che ci dicono quanto critica sia la situazione anche nella nostra realtà”.
Per Valentina Castaldini (FI) “manca nel piano una strategia per il ceto medio, il più esposto ai rincari, e non si parla quasi per nulla di chi non era povero e oggi rischia di diventarlo”. “Ci chiediamo dove sia la politica in grado di intercettare questa nuova fascia di vulnerabilità – prosegue -. Il piano, inoltre, utilizza dati del 2023, che sono superati visto che sono già disponibili quelli del 2024. Mancano informazioni relative ai risultati conseguiti: non sappiamo cioè quante persone sono uscite dalla condizione di povertà secondo indicatori trasparenti e verificabili. Questo piano non include chi vive una nuova fragilità, silenziosa e diffusa: quella delle famiglie che non arrivano a fine mese, delle giovani coppie, dei lavoratori dipendenti, dei pensionati che rischiano di scivolare verso il basso. Pertanto, annunciamo un’astensione responsabile, perché non siamo contrari alle politiche di contrasto alle povertà estreme, ma crediamo che anche il ceto medio, vera spina dorsale di questa regione, meriti sostegno”.
“Piano importante, da oltre 120 milioni di euro, che agisce su tanti elementi. Affrontiamo le povertà che esistono nella società italiana e inevitabilmente anche all’interno della società emiliano-romagnola: si va dalla povertà estrema fino a quelle collegate alla perdita, evidente, di potere d’acquisto”, rimarca Paolo Calvano (Pd). Che prosegue: “Ci sono tante persone che, pur lavorando, sono in una condizione di povertà, questo è un dato di fatto. Lo è in particolare nell’Italia degli ultimi anni. Parlare di lotta alla povertà significa mettere in campo tutte le azioni contenute all’interno di questo piano, perché non c’è solo la povertà estrema”. Conclude: “Quindi interveniamo, per fare alcuni esempi, per sostenere gli affitti, sul tema del sovraindebitamento con strumenti di microcredito così come con aiuti alle famiglie per il trasporto pubblico”.
“La povertà non è una colpa, può toccare chiunque e questo piano prende in carico le complessità, rafforza il sistema di welfare e non si limita a dare mancette. Non si guarda solo alla mancanza di reddito ma complessivamente alla vita delle persone. C’è il vuoto del reddito di cittadinanza e questo piano ne tiene conto. Una democrazia giusta sa accompagnare chi è povero senza umiliarlo, dobbiamo costruire un’unità, quel fattore umano che fa unire un territorio”, rimarca Simona Larghetti (Avs).
Elena Ugolini (Rete civica) ricorda che “il Paese è in difficoltà per quanto riguarda le risorse da trasferire alle Regioni perché ci sono ancora 40 miliardi di debito di superbonus che incide in modo pesante sulle disponibilità di questa finanziaria”. “Si parla sempre di cambio di passo – conclude -, ma se in una Regione in tre anni la percentuale di povertà raddoppia, bisogna farsi delle domande”.
(Brigida Miranda e Cristian Casali)



