La presentazione del libro “L’ultima nota. Musica e musicisti nei lager nazisti” di Roberto Franchini, in programma alle 10 di venerdì 27 gennaio, Giornata della memoria, in viale Aldo Moro 50 a Bologna, e l’uscita del podcast “Ero una violoncellista” con le voci di Moni Ovadia e Roberto Franchini, chiudono il ciclo di eventi che l’Assemblea legislativa ha organizzato per celebrare la “Giornata della memoria” e ricordare la Shoah.
I campi di sterminio nazisti avevano una colonna sonora. Ad Auschwitz, Terezin, Buchenwald e Dachau si faceva musica per molti motivi: le SS imponevano ai prigionieri di accompagnare le torture e le marce verso il lavoro o le camere a gas con brani strumentali. Le piccole o grandi orchestre allestite nei lager servivano per intrattenere gli aguzzini nel fine settimana o per sostenere la propaganda nazista. Nei campi di sterminio si incontrarono musicisti di grande valore che riuscirono a produrre opere di elevata qualità.
“Pur con la testa rasata e un numero sul braccio ero una violoncellista”. Lo scrisse Anita Lasker-Wallfisch, reduce dal campo di sterminino di Auschwitz nel suo libro. La musica non le aveva fatto perdere la sua identità. Al contrario, l’aveva aiutata a salvarsi. Non per tutti fu così.
“La musica nei campi di concentramento scandiva i tempi di vita e di lavoro dei prigionieri e delle guardie. L’orchestrina era insieme testimone e vittima”. Lo racconta Moni Ovadia nel podcast (qui il link) realizzato dal servizio Informazione dell’Assemblea legislativa insieme a Roberto Franchini, autore del libro “L’ultima nota”.
Quando i campi dei nazisti erano riservati solo agli oppositori politici, la musica era nascosta. Più avanti furono gli stessi direttori dei campi a permetterla, addirittura a sceglierla – ogni campo aveva la sua “colonna sonora”- e a diffonderla dagli altoparlanti per gli appelli, le partenze, i ritorni e per le esecuzioni capitali. Il sabato e la domenica serviva a stemperare la tensione nelle guardie. Addirittura, si organizzavano i cabaret con le canzoni impedite ai cittadini tedeschi.
Dai Ghetto Swingers e dal jazz del campo di Terezin, ai cabaret con Kurt Gerron de “L’angelo azzurro”, dall’orchestra femminile di Auschwitz, Alma Rosé, alla Canzone dei soldati della palude, che divenne poi simbolo dei canti di resistenza: all’interno del podcast è possibile ascoltare le musiche e le storie che le accompagnavano, raccontate da Franchini.
“Ma come si faceva a mettere una musichetta mentre si impiccava?”, si domanda Ovadia che cerca di capire che ruolo abbia assunto la musica per gli ufficiali dei lager. “Riuscire a godere di una canzone prodotta da qualcuno che vuoi annientare… forse per i nazisti era rassicurante”.
“Per i prigionieri la musica ebbe effetti complessi e contradditori – continua Franchini-. Se fu di aiuto per qualcuno, per altri fu una tortura”. E poi c’è chi si salvò grazie alla musica. Ma quando tornò venne guardato con rimprovero. “Perché tu sei sopravvissuto e gli altri sono morti?”. La musica ebbe sulle spalle anche questa responsabilità.
Roberto Franchini, giornalista, scrittore e saggista, si occupa da anni di storia della musica. È stato direttore dell’Agenzia di informazione e comunicazione della Regione Emilia-Romagna, presidente della Fondazione Collegio San Carlo di Modena e del Festival della filosofia.
Il podcast “Ero una violoncellista” si può ascoltare sui canali Spreaker e Spotify dell’Assemblea. In redazione Margherita Giacchi e Francesca Mezzadri .
La partecipazione agli eventi è gratuita ma è gradita la prenotazione: tel. 051-5275427 oppure mail gabinettopresidenteal@regione.emilia-romagna.it.
(Lucia Paci)