Sono sempre più presenti nel mondo delle professioni intellettuali ma continuano a guadagnare meno dei colleghi maschi, con differenze che possono arrivare anche oltre al 50%. Il tema della disparità retributiva tra uomini e donne che operano come liberi professionisti, con le ricadute economiche che questo comporta, è stato oggetto oggi di un’audizione in Assemblea della commissione Pari opportunità del comitato unico delle professioni intellettuali di Modena, convocata in forma congiunta dalle commissioni Parità e diritti delle persone e Politiche economiche, presiedute rispettivamente da Roberta Mori e Luciana Serri.
Il differenziale di reddito che in Italia va da un minimo del 24% per i giornalisti a un massimo del 57% per gli avvocati, secondo una ricerca promossa tra i professionisti modenesi dal Cup di Modena, registra valori a sfavore delle donne del 22% per i geometri, 56% per gli avvocati, 38% per i veterinari e 37% per i consulenti del lavoro. “Le donne guadagnano mediamente la metà rispetto ai loro colleghi, e di conseguenza ‘godono’ di un trattamento pensionistico di gran lunga inferiore”, ha segnalato Mirella Guicciardi, presidente della commissione parità del Cup di Modena e dell’Emilia-Romagna. “Capita poi che intorno ai 40/50 anni, proprio nel momento in cui di solito si colgono i maggiori benefici, le donne siano costrette ad abbandonare la professione per difficoltà di conciliazione tra lavoro e cura familiare”. Inoltre, prosegue Guicciardi, le donne vedono riconosciuta con difficoltà la loro autorevolezza sul lavoro (nei cantieri, negli ospedali, nei tribunali, nelle redazioni) e sono spesso sottorappresentate negli organismi direttivi degli ordini e collegi e nelle realtà politiche, amministrative e categoriali della rappresentanza (organizzazioni di categoria, Cda, ecc.).
La presidente Roberta Mori ha voluto omaggiare la memoria di Tina Anselmi, “una grande donna, che fu anche ministro del lavoro e della previdenza sociale a cui si deve la prima legge, varata nel 1977, per la parità tra uomini e donne in materia di lavoro”. “Coerentemente con l’approccio trasversale, di mainstreming, dettato dalla Legge quadro regionale sulla Parità di genere – ha detto Mori – propongo di avviare un approfondimento sulle motivazioni che determinano il fenomeno del ‘gender pay gap’ nel lavoro e tra i professionisti in Emilia-Romagna con l’obiettivo di giungere ad un Protocollo con i rappresentanti delle professioni”. Un protocollo che consenta di acquisire e studiare i dati nelle diverse province e individuare insieme azioni e misure concrete per rimuovere eventuali ostacoli alla parità.
Sulla stessa lunghezza d’onda Luciana Serri, secondo la quale la discussione avviata, grazie ai significativi elementi introdotti con la ricerca, rappresenta un punto di partenza per “per poter dar seguito a percorsi normativi e azioni che ci permettano di recuperare il gap esistente”. Misure che- ha detto- devono tener conto di un elemento culturale che interviene fin dal momento di orientamento negli studi in cui le ragazze e i ragazzi si trovano a pensare al loro futuro.
Tra i diversi interventi dei consiglieri: Enrico Aimi (Fi) ha sollecitato a riflettere sulla scarsa rappresentanza femminile nella governance degli ordini professionali anche laddove c’è un’alta presenza femminile tra gli iscritti. Per Nadia Rossi (Pd) va considerato il dato culturale che richiede “investimenti importanti per poter conseguire risultati”. E’ un fatto – ha sottolineato– che tutti i percorsi dove sono stati fatti passi avanti in termini di quote rosa sono “interventi fatti per legge”. Soddisfatta per la discussione avviata Giulia Gibertoni (M5s) ha ricordato di aver in precedenza presentato una risoluzione sull’argomento in discussione, perché “non bisogna nascondersi dietro ad un dito invocando le competenze”. La consigliera ha quindi annunciato la presentazione di una nuova risoluzione che rilancerà come prioritari il tema della parità retributiva e della parità previdenziale. Per Silvia Prodi (Pd) occorre mettere in campo azioni molto potenti sull’orientamento scolastico per promuovere scelte a tutto campo, perché “ci sono consuetudini che hanno generato un sistema che non sa rispondere all’attualità”. In particolare- ha suggerito- va favorito l’accesso alle discipline scientifiche e tecniche spiegando le opportunità che ci sono in questo settore. Yuri Torri (Sel) ha ribadito l’importanza di strutturare un rapporto continuo che consenta di intervenire con misure adeguate di contrasto nel settore delle professioni. Importante però – ha segnalato – anche approfondire situazioni che riguardano lavori con più basse qualificazioni, dove oltre al gap di tipo salariale ci sono anche condizioni di lavoro peggiori di cui le donne risentono da un punto di vista fisico e materiale. “Sta a noi cambiare promuovendo una cultura rispettosa delle uguaglianze” – ha detto Gianni Bessi (Pd). I dati – ha fatto notare – sono gravi soprattutto se confrontati con i livelli e i risultati di scolarizzazione che raggiungono le donne non solo in Italia ma anche in altri Paesi. Dequalificare le donne – ha detto – non è solo un problema etico ma un’urgenza economica.
In rappresentanza dei diversi ordini professionali rappresentati nel comitato sono intervenuti, tra gli altri, Cecilia Barilli (dell’area legale) che ha invocato l’aiuto delle istituzioni per risolvere, con strumenti legislativi, il problema del gap salariale; Natalia Leone (delegata Inarcassa architetti) che ha chiesto tutele per i liberi professionisti che “non hanno welfare” e Mario Sbrozzi (delegato Inarcassa architetti) che ha richiamato la discussione in atto in Regione sui fondi europei per le professioni, invitando ad allargare gli interventi anche ai microprogetti con incarichi ai professionisti. Sarebbe inoltre importante, a suo avviso, aprire alla possibilità di fondi di previdenza operativi in ambito locale.
(Isabella Scandaletti)