Giornalismo e legalità sono stati i temi al centro dell’incontro di questa mattina, “Dal maxi-processo Aemilia alle nuove mafie”, organizzato nell’ambito della Settimana della legalità promossa dall’Assemblea legislativa con il progetto per studenti conCittadini e la Regione Emilia-Romagna. Giovanni Rossi, presidente dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna, Attilio Bolzoni, giornalista de La Repubblica, la tedesca Petra Reski corrispondente per Die Zeit, Giammarco Sicuro, del TG2 e Luca Ponzi, del TgR Emilia-Romagna, che ha seguito il maxi-processo Aemilia, hanno parlato con studenti e altri professionisti dell’informazione -la sala della terza torre della Regione era piena- di mafie, media e fake news. Ad aprire la mattinata, Yuri Torri dell’Ufficio di presidenza dell’Assemblea legislativa. “E’ sempre più difficile fare buona informazione su temi così complicati, è importante che giovani e giornalisti sappiano tenere la testa alta e la schiena dritta. Le due parole chiave sono partecipazione e trasparenza”, ha spiegato il consigliere mentre Elia Minari, dell’associazione Cortocircuito, ha moderato il dibattito.
“Il fenomeno delle infiltrazioni mafiose viene spesso sottovalutato, per questo è fondamentale il ruolo del giornalismo”, il presidente dell’Ordine, Rossi parte subito con qualche dato diffuso da Agcom relativo all’anno 2018. “Purtroppo l’8 per cento delle notizie che circolano in rete si sono rivelate fake news. Nella cronaca online, il 34 per cento di notizie è infondato, e, per quanto riguarda le notizie legate alla criminalità, il 25 per cento è fake. Tutto questo favorisce l’infiltrarsi di fenomeni mafiosi nelle nostre strutture democratiche”.
“Raccontare le mafie in tempi di guerra, quando si spara, quando c’è violenza, è più semplice” spiega Attilio Bolzoni, autore di “Giornalisti in terra di mafia”, ”Il capo dei capi”, ”C’era una volta la lotta alla mafia”. “Ma in realtà,” continua il giornalista, “dopo 25 anni sanguinosi la mafia si è riappropriata della sua vera natura, che è quella di essere invisibile. Ed è molto più difficile da raccontare”. Bolzoni fa una contrapposizione tra la mafia degli emarginati -che è quella di cui parlano in tanti, e la mafia incensurata che è quella di cui non parla nessuno o pochi, e gode di omertà. “La mafia la si ritrova in personaggi puliti, profumati e politicamente corretti”, spiega Bolzoni che riporta anche l’esempio di Antonello Montante, vice presidente di Confindustria Sicilia, considerato a lungo “il faro dell’antimafia” arrestato nel maggio scorso nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Caltanissetta sull’ipotesi di associazione a delinquere per aver creato una rete di rapporti che ostacolasse le indagini dei magistrati sulle collusioni mafiose. Bolzoni invita quindi i giovani e chi si occupa di informazione a diffidare dai facili slogan come la mafia non esiste o la mafia fa schifo. “Il vero giornalista deve allontanarsi dai luoghi comuni, indagare, cercare collegamenti, scoprire. Ci vuole meno retorica e più sapere. Il marketing ha ammazzato l’informazione”, aggiunge Bolzoni. E sul rapporto Stato-mafia il giornalista chiarisce: “Lo Stato nel 1992 ha messo in campo una repressione senza precedenti, abbiamo ancora buone leggi e tra i migliori apparati di polizia. Siamo stati così efficaci nella repressione, come poco attenti nella decodificazione di che cosa la mafia stava diventando. Ad esempio, la politica dei beni confiscati è stata vincente, ma poi è emersa la totale incapacità di gestire questo tesoro”.
Interviene anche Petra Reski, premiata come miglior reporter del 2008 in Germania, nota in Italia per i suoi libri di denuncia contro la criminalità organizzata (da “Santa mafia. Da Palermo a Duisburg: sangue, affari, politica e devozione” a “Palermo Connection”). La giornalista che si è occupata del processo Aemilia, spiega come le leggi su informazione e antimafia differiscano tra Germania e Italia. “In Germania rimangono tutti sorpresi quando faccio capire che esistono leggi antimafia, che si possono fare i nomi dei condannati e anche usare alcune intercettazioni,” spiega Reski, “nonostante i tedeschi non siano immuni a fenomeni come quello mafioso, anzi”. La giornalista spiega poi cosa dovrebbe raccontare un vero giornalista. “Quando scrivi che i mafiosi sono furbi e sanguinari alimenti solo la propaganda mafiosa. Credo invece sia molto più interessante svelare le bugie dei presunti onesti, quelli che non si considerano mafiosi. Quelli che si approfittano del sistema criminale. Molto più pericolosi dei mafiosi, che sono banali al confronto”. Reski invita anche i giovani reporter ad occuparsi di alcuni temi scottanti come il caso Xylella, il batterio killer che uccide gli olivi pugliesi, strettamente connesso al business dei finanziamenti europei finiti nelle tasche della mafia.
Ed è stato il giornalista di Parma del Tgr Emilia-Romagna, Luca Ponzi, a documentare, tra gli altri, il maxi processo Aemilia. Un processo che, secondo Ponzi, è stato raccontato molto bene sulla stampa e in tv, ma al quale non è stata data la giusta copertura. “Anch’io, che ho partecipato, ho fatto fatica a far passare i miei pezzi” sulle edizioni nazionali, rivela. Il giornalista parla poi del complesso rapporto tra mafia e informazione. Se è vero che alcuni giornalisti passano sotto silenzio i fenomeni criminali, o vengono comprati per dire alcune cose, oppure usati a loro insaputa, è anche vero che nonostante tutto, la mafia ha ancora paura di chi fa davvero informazione. Per questo è importante, quando si scrive di fenomeni mafiosi, approfondire. “Il nostro limite” continua Ponzi, “è non studiare e sottovalutare il fenomeno”. “Come fanno il sindaco di un paese emiliano e un capogruppo di un partito della zona a dichiarare di non conoscere il clan Aracri dopo il processo?” incalza il giornalista.
Sui fatti di Brescello, primo Comune sciolto per infiltrazioni mafiose, è intervenuto anche Giammarco Sicuro, giornalista del TG2. “Quello che stupisce di più anche la comunità locale è come questi criminali possano continuare spesso le loro attività, non si riesce ad accettare la lentezza dello Stato nel dare segnali forti per colpire questo sistema”. Il giornalista, autore del dossier ‘Ndrangheta über alles” sugli affari delle cosche calabresi in Germania, svela come mafia e ‘ndrangheta si arricchiscano con il narcotraffico, grazie ai loro legami con i paesi sudamericani, come Venezuela e Colombia. “In realtà, nell’ultimo periodo in Sudamerica, alcune organizzazioni, come la mafia albanese, stanno prendendo il posto della ‘ndrangheta calabrese. Questo non vuol dire però che le cosche calabresi stiano diminuendo i loro profitti. Anzi, scelgono di investire in territori a loro più familiari, come quelli del nord Europa (Germania e Olanda) e fanno arrivare carichi di droga direttamente nei loro porti. Per questo è necessario concentrarsi sulle interconnessioni tra paesi europei e far sì anche loro adottino leggi più severe”.
(Francesca Mezzadri)