Il numero di operatori socio-sanitari provenienti che hanno chiesto di lavorare nel servizio sanitario, se sia previsto l’obbligo vaccinale e se ci saranno deroghe “per eventuali ulteriori riconoscimenti di vaccini differenti da quelli autorizzati in Italia”, “se la Regione non ritenga che l’eventuale mancata conoscenza della lingua italiana possa rendere difficile l’erogazione di prestazioni sanitarie e la comunicazione con i pazienti ed equipe multidisciplinari impiegate nelle strutture socio-sanitarie”.
Sono le domande poste alla Giunta, in un’interrogazione firmata dal capogruppo di Fratelli d’Italia, Marco Lisei, e dai consiglieri Michele Barcaiuolo e Giancarlo Tagliaferri.
Il decreto legge del governo del 4 marzo prevede che gli operatori sanitari ucraini potranno esercitare, temporaneamente, la professione in strutture pubbliche o private, che abbiano un titolo riconosciuto da direttive dell’Unione europea. Con il provvedimento sul termine dello stato di emergenza della pandemia (il 31 marzo) si definisce una road map che prevede l’obbligo vaccinale, fino alla fine di dicembre 2022, “per il personale socio-sanitario e i lavoratori di strutture ospedaliere e Rsa”. Chi non si vaccina sarà sospeso dal lavoro.
I consiglieri sottolineano – considerando che sono profughi in fuga dalla guerra e senza nulla togliere alla loro preparazione – che va considerata la sicurezza sanitaria e il decreto non specifica “se i sanitari ucraini saranno debitamente vaccinati prima di lavorare all’interno delle nostre strutture ospedaliere e neppure se sarà prevista una deroga per riconoscere eventuali vaccinazioni, per il personale socio-sanitario ucraino, con siero differente da quelli riconosciuti in Italia”.
Inoltre, affermano i consiglieri di Fdi, il decreto “Misure urgenti per l’Ucraina” sembra prevedere una deroga rispetto all’accertamento della conoscenza della lingua italiana: “Stiamo parlando di persone -concludono Lisei, Barcaiuolo e Tagliaferri- con diversi alfabeti e con un sistema di scrittura che nulla ha a che vedere con il nostro. Le buone intenzioni paiono quindi scontrarsi con la compatibilità di detta normativa rispetto all’erogazione di servizi sanitari che richiedono capacità comunicative con colleghi e pazienti”.
(Gianfranco Salvatori)