Il piano di riorganizzazione predisposto dal ministero della Salute nel 2010 e approvato dalla Conferenza Stato-Regioni ha individuato parametri ritenuti validi per tutti e tra questi il numero di 500 parti all’anno come standard minimo di sicurezza per mantenere aperti i punti nascita; il successivo Regolamento ministeriale del 5 agosto 2014 fissa il bacino di utenza ottimale per avere un punto nascite tra gli 80.000 e i 150.000 abitanti. Ma “buona parte dei punti nascita situati in zone montane difficilmente possono rientrare negli standard di sicurezza stabiliti dalle sopracitate normative”.
Lo scrivono Yuri Torri e Igor Taruffi, del Gruppo Sel, rivolgendo un’interrogazione alla Giunta in cui chiedono “di aprire un dialogo con enti locali e realtà territoriali in vista della discussione e approvazione del Piano di riorganizzazione della rete ospedaliera, così da giungere a decisioni condivise, in grado di coniugare le esigenze di sicurezza in ospedale con quelle legate alle condizioni orografiche”. I due consiglieri chiedono di avviare un tavolo di discussione con il Governo, “per studiare e rivedere gli attuali standard valutando la possibilità di un progetto pilota di ospedale unico a sedi distaccate, il quale, grazie a mobilità del personale e flessibilità organizzativa e formativa, possa garantire il parto e l’attività ginecologico-ostetrica vicino alle famiglie”. Infine, l’interrogazione invita la Giunta a sostenere presso il ministero la proposta di sperimentare presso gli ospedali dell’Emilia-Romagna situati in zone montane, il progetto pilota “Nascere in montagna”, per il mantenimento in sicurezza dei punti nascita anche al di sotto dello standard nazionale dei 500 parti/anno.
Per Torri e Taruffi, la presenza “di servizi essenziali e di qualità nel settore sanitario sarebbe cruciale per impedire lo spopolamento della montagna che in altre Regioni, inseguendo logiche centralistiche, è avvenuto in maniera massiccia”.
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(rg)