Carpi ha accolto Pietro Grasso e si è stretta all’ex procuratore nazionale dell’Antimafia nel ricordare Giovanni Falcone. L’iniziativa sulla legalità tenutasi nella cittadina modenese ha visto oltre ottocento studenti coinvolti, fra quelli presenti nell’Aula Magna dell’Istituto Superiore “Meucci” e quelli collegati online, di quattro scuole superiori: Meucci, liceo Fanti, Tecnico industriale, Ipsia Vallauri.
“La cattura di Messina Denaro, anche dopo 30 anni, è una vittoria”. “Il ricordo dei miei colleghi Falcone, Borsellino, Chinnici l’ho racchiuso in un libro perché temevo si scolorisse la memoria e non si ricordasse la loro opera, i loro sorrisi, i loro progetti. Mi mancano sempre”. E ancora: “Il maxiprocesso che ha condannato all’ergastolo persone come Totò Riina o Bernardo Provenzano è stato uno spartiacque nella lotta alla mafia. Sono stati garantiti i diritti di difesa a tutti anche se sono emerse crudeltà come la camera della morte. Altro che la mafia che non tocca donne e bambini! Ricordiamo il figlio, ucciso e sciolto nell’acido, del pentito Di Matteo! Abbiamo dimostrato la crudeltà e la violenza con una sentenza”. E da politico, “L’unico cruccio è stato non aver portato a termine lo Ius soli o lo Ius cultura”.
Sono alcuni degli spunti offerti da Pietro Grasso nel corso della presentazione del libro “Il mio amico Giovanni”. Un successo, tanto che gli studenti, interessati e attenti, oltre a porre numerose domande alla fine hanno voluto la dedica sul libro e alcuni di loro anche una foto ricordo.
Prima della presentazione del libro, ha portato i saluti il sindaco di Carpi, Alberto Bellelli, che ha sottolineato: “Parlare di mafia sembra parlare di qualcosa di distante. Ma qui abbiamo avuto il processo Aemilia e il territorio non è immune. Auspico che voi giovani siate il coraggio di chi non ce l’ha”. Gli ha fatto eco il presidente dell’Upi Emilia-Romagna, Andrea Massari, che ha affermato: “Quella di oggi è una lezione di legalità per il vostro futuro, per avere la capacità di riconoscere il bene e il male e scegliere da che parte schierarsi. Cari ragazzi, dovete sapervi indignare”. Infine, la dirigente del Meucci, Viviana Valentini, ha sottolineato che il patrimonio portato da Grasso “è scomodo ma irrinunciabile per chi si sente parte della collettività. E’ un humus di valori per diventare persone e cittadini migliori”. Fra gli invitati anche la preside dell’istituto alberghiero Nazareno, Veronica Tomaselli.
Il giornalista Pierluigi Senatore (curatore della rassegna “Ne vale la pena”) ha presentato Pietro Grasso ricordando la carriera di magistrato come procuratore di Palermo, poi procuratore nazionale antimafia, e l’approdo in politica ricoprendo il ruolo di presidente del Senato. Poi, il moderatore ha introdotto l’argomento del maxiprocesso e del significato che ha avuto nella lotta alla mafia. Falcone, ha ricordato Senatore, ha seguito la lezione del collega Rocco Chinnici (poi uccio dai mafiosi) che aveva iniziato ad andare a parlare nelle scuole.
Poche settimane fa una docente di una scuola in Sicilia ha definito il maxi processo “un obbrobrio”. Secondo Grasso, “non ha fatto buon lavoro, perché non ha analizzato quegli anni né letto le sentenze. Quel processo è uno spartiacque, perché prima di allora si diceva che mafia (anzi cosa nostra) era un fenomeno da romanzo, frutto di fantasia. Alla fine degli Anni ’70 cominciano gli omicidi eccellenti di chi indagava”. Poliziotti, magistrati, politici, rappresentanti delle istituzioni abbattuti da cosa nostra. “Il processo, con le condanne ai boss mafiosi, ha fatto sì che la Sicilia – ha affermato l’ex magistrato – potesse ricominciare a respirare e i cittadini ad avere fiducia nelle istituzioni. Si iniziarono a svolgere indagini bancarie. Si disse che Falcone rovinava l’economia siciliana. I magistrati del Pool antimafia Falcone, Borsellino, Chinnici, erano considerati marziani, spesso anche da alcuni loro colleghi. Ricordate che la mafia uccide la libertà dei cittadini”.
Il processo, ha ricordato Grasso, fu complesso e faticoso e alla fine ci furono anche 114 assoluzioni, tra cui quelle di Luciano Liggio e di un giovanissimo Giovanni Brusca: “Sono stati garantiti i diritti di difesa a tutti anche se emersero crudeltà come la camera della morte. Altro che la mafia che non tocca donne e bambini. Abbiamo dimostrato crudeltà e violenza con una sentenza”.
Poi l’ex presidente del Senato ha parlato della vita famigliare, delle minacce ricevute e del progetto mafioso di rapirgli il figlio. Una volta, il figlio 15enne chiede al padre di comprargli una tuta sportiva nuova. Grasso esce e in un negozio viene salutato da un giovane, che aveva condannato al maxiprocesso. L’allora giudice chiede come mai fosse libero: “Ho trovato giudici buoni – rispose – non come lei che ha respinto le mie domande di libertà. Era il figlio di un famoso boss, e il ragazzo era indicato come un pericoloso killer mafioso. Doveva stare in carcere, ma era libero. Per un attimo mi ha sfiorato frase terribile: ma chi te lo fa fare. Ho pensato a ciò che diceva Falcone ai ragazzi e ai giovani magistrati: la frase di Kennedy dove ognuno deve fare fino in fondo il proprio lavoro, costi quel che costi, perché questa è l’essenza della dignità umana”.
A chi critica i 30 anni di latitanza di Messina Denaro, Grasso replica che “si deve capire il contesto in cui si opera. In quelle zone c’è un problema di sopravvivenza. Lui non ha fatto il capo della mafia proprio per garantirsi la latitanza e gli appoggi di cui godeva. Lui prestava soldi a imprese, per esempio avviò una catena di supermercati con prestanome. Certo, non significa che tutti sono omertosi a Trapani, ma una buona fetta sì. In certi territori non si riesce ad avere sviluppo e legalità. Chiesi a un boss quando finirà la mafia: rispose che chi aveva bisogno di lui sapeva dove trovarlo. E mi raccontò che aiutò un 28enne povero che non aveva cibo per la figlia e lo segnalò a un costruttore che lo assunse in nero. Il ragazzo tornò e ringraziò chiedendo come possa sdebitarsi. Gli chiesi la carta d’identità – continuò il boss – per acquistare un’auto, una casa dove nascondermi … finché quel ragazzo viene da noi e non da voi la mafia non finirà mai”. Purtroppo, ha ripreso Grasso, “in alcune zone la mafia se ne approfitta e ottiene consenso. Bisogna fare in modo che le istituzioni creino opportunità e che i cittadini dicano di no quando gli si chiede qualcosa di illegale. Non diventare fiancheggiatori”.
Tantissime, infine la domande di ragazzi e ragazze sulla sua formazione, sul ruolo della famiglia, degli apparati pubblici e privati deviati che stanno emergendo legati alle stragi del 1992-93, sulla fiducia nei giovani. “Ne ho tanta, altrimenti non farei quello che sto facendo” ha chiosato Grasso. E ancora sull’importanza del suo ruolo: “Non mi sento importante, ho sempre avuto la consapevolezza del mio ruolo. Mi dà serenità la consapevolezza di aver fatto tutto il possibile” ha sottolineato.
Dove si trova il coraggio di affrontare la mafia, ha chiesto uno studente: “Il coraggio è affrontare la paura, non farsi condizionare dal lavoro anche se ti mette in pericolo. Era progettato il sequestro di mio figlio, ma la sensazione di pericolo viene messa da parte, anche se quel momento è stato duro”.
L’iniziativa tenutasi a Carpi è la penultima delle 28 in programma nella Settimana della legalità, che hanno interessato diverse realtà locali della regione e che hanno visto il coinvolgimento di un elevato numero di studenti. La “Settimana della legalità” è promossa dall’Assemblea legislativa in collaborazione con Anci, Upi, Libera e conCittadini, il progetto di cittadinanza attiva dell’Assemblea.
(Gianfranco Salvatori)