La cooperazione sociale in Emilia-Romagna è la seconda in Italia, ha scandito la giunta, ma per i consiglieri occorre affinare il sistema e garantire un migliore trattamento economico, anche occupazionale consentendo a fragili e svantaggiati di essere assunti nella pubblica amministrazione o nelle imprese private.
E’ il quadro emerso dalla relazione sulla legge 12 del 2014 che riguarda le “Norme per la promozione e lo sviluppo della cooperazione sociale”. Il documento è stato presentato in commissione Politiche per la salute e politiche sociali, presieduta da Ottavia Soncini, dall’assessore al Welfare, Igor Taruffi.
L’illustrazione è stata relativo al secondo biennio di attuazione della norma, 2018-2020, e ha mostrato come la cooperazione sociale in Italia veda 13mila coop con 440mila addetti e un fatturato di 15 miliardi di euro. In Emilia-Romagna, ha sintetizzato Taruffi, il valore è di 2,3 miliardi e occupa 54mila persone: “Una capacità di generare valore molto elevata, doppia del valore nazionale. Il 70% delle coop è di tipo A (servizi socio sanitari ed educazione) mentre quelle di tipo B sono un quinto di tutte le coop. Il 75% dell’impiego riguarda donne, il 17% stranieri, e l’82% dei contratti è a tempo indeterminato. Rispetto al 2015, quelle di tipo B hanno favorito un maggiore accesso al lavoro delle fasce più deboli. In questa valutazione, sottolineo che rispetto alle linee guida dell’assegnazione di servizi alle coop sociali, c’è stato un intenso percorso di valutazione, con studi sui territori. E nelle prossime settimane si tratterà un progetto di legge in Regione sul Terzo settore. In Europa, inoltre si dà molta importanza a questo tipo di economia sociale capace di generare valore”.
La presidente Soncini ha sottolineato i “dati interessanti di un settore che ha tenuto, rispetto a occupati e fatturati di realtà solida, con la media più alta del Paese. Questo mi fa dire c’è una capacità di crescita. Emerge anche un rischio di default, ma in regione ci sono i tassi di maggior successo. Positivo, poi, il raccordo tra cooperative sociali e leggi regionali”.
Lia Montalti (Partito democratico) ha suggerito di riflettere sulla “comunicazione della Commissione Ue della creazione di un piano di lavoro sull’economia sociale. E’ importante approfondire per vedere come aggiornare le politiche e le azioni a livello regionale”.
Secondo Federico Amico (Emilia-Romagna Coraggiosa) “la cooperazione sociale in regione, anche per le assunzioni nel tipo B, ha dimostrato che sia un vantaggio per la società emiliano romagnola: integrare chi ha disabilità o svantaggio comporta un risparmio del carico assistenziale verso di loro. Le cooperative sociale avrebbero bisogno di altro aiuto e considerare come i privati possano attingere a quelle di tipo B per supplire e integrare in organico disabili o svantaggiati. Ad esempio, la Ferrari affida a coop di tipo B alcuni servizi, ottenendo il risultato di impiego persone e facendo maturare capacità economica”.
Per Francesca Maletti (Pd) vice presidente della commissione “le cooperative di tipo A e B sono una parte significativa, sia per servizi sia per l’inserimento di persone, che ha portato a un’evoluzione culturale del modo di fare impresa. La Regione ha contribuito ad aiutare le coop che hanno avuto difficoltà nei due anni di crisi. I collegamenti con le multiutility hanno fatto avere commesse per i servizi e inserito al lavoro tante persone fragili. Si è visto che molte imprese facevano contratti con le cooperative, ma c’è il rischio che ci siano meno opportunità, per fragili e svantaggiati, di integrazione nel mondo del lavoro. Siamo tra i primi, ma dobbiamo continuare a lavorare per essere sempre più efficaci”.
Luca Cuoghi (Fratelli d’Italia) ha parlato di “grande attività delle coop sociali, ma anche come questa sia distribuita tra poche cooperative. La relazione è la foto di una situazione dove le grandi strutture ben organizzate introducono una concorrenza interna fra le cooperative. Quando gli Enti locali assegnano i servizi o li richiedono chi ha più mezzi si espande. Chi cresce, cresce tanto e chi avrebbe la possibilità di proporre servizi in modo personalizzato resta escluso”.
Simone Pelloni (Lega) ha puntato l’attenzione “la coop sociale deve rappresentare la possibilità di ingresso nel mondo del lavoro, ma non deve essere un limite all’esternalizzazione di alcuni servizi. In alcuni, personale interno lavora a fianco di quelli della coop e le differenze economiche si vedono. in alcuni settori, ritengo che per l’aziende pubblica debba essere conveniente, anche dal punto di vista fiscale, internalizzare i lavoratori per garantire un posto sicuro a questi lavoratori”.
L’assessore Taruffi ha concluso dicendo di “non amare le classifiche, ma dobbiamo essere consapevoli che valore economico e occupazionale è di rilievo. Il 30% di base d’obbligo è un limite posto dalla legge. Ma il tema c’è e dobbiamo pensare di farcene carico e studiare a correttivi. In giunta, tra l’altro, stiamo preparando un documento sull’accreditamento. Sono convinto che il pubblico debba svolgere il proprio ruolo fino in fondo, a proposito di internalizzazione. Per gli Enti locali non sempre è più conveniente esternalizzare un servizio. Va, però, considerato il quadro economico e il fatto che il sistema delle cooperative sociale dà risposte importanti”.
(Gianfranco Salvatori)