La nuova legge sul reddito di solidarietà della Regione Emilia-Romagna piace a sindacati e terzo settore, che chiedono però di aumentare le soglie, che ora come ora “purtroppo non sono ancora sufficienti”.
I portatori di interessa sono stati i protagonisti oggi dell’udienza conoscitiva della commissione Politiche per la salute e politiche sociali, presieduta da Paolo Zoffoli, sui due progetti di legge abbinati “Misure di contrasto alla povertà e di sostegno al reddito”, a firma dei due capigruppo di maggioranza Stefano Caliandro (Pd) e Igor Taruffi (Sel), e “Misure regionali denominate Reddito di cittadinanza”, sottoscritto dal gruppo M5s con Giulia Gibertoni prima firmataria.
Loris Vergolini, dell’Istituto Isvapp della Provincia autonoma di Trento, dopo aver raccontato l’esperienza trentina, ormai attiva dal 2009, e alla luce dei risultati ottenuti e della criticità incontrate ha voluto proporre tre correzioni: “Servono dei controlli presuntivi dei consumi, degli incentivi al momento dell’accettazione di una offerta di lavoro per evitare comportamenti opportunistici e infine sono fondamentali i corsi di formazioni, noi ad esempio abbiamo avuto grandi scogli a livello linguistico con gli stranieri”.
Per Carmelo Massari della Uil regionale “le persone che superano i criteri della legge sono comunque poveri secondo l’Istat: sono sicuramente lodevoli tutte e due le proposte, ma il 99,9% di chi si rivolge ai nostri servizi, anche i cassaintegrati, non avrebbe accesso al reddito solidarietà, e non sono certo ricchi”. Per l’esponente sindacale “la Regione fa quel che può, 15 milioni annui non sono certo la somma necessaria per i reali fabbisogni, ma un primo inizio”: insomma, conclude, “siamo in linea con principi generali, ma auspichiamo che nel tempo queste risorse possano cambiare e coniugarsi al meglio con risorse e strumenti di tipo attivo e passivo a livello nazionale”.
Anche secondo Federico Alessandro Amico, del Forum Terzo Settore, “bisogna capire quale sia la misurazione giusta, ma intanto si entra nel vivo di una materia urgente: è interessante soprattutto l’intervento combinato con una serie di altre misure che non riguardano solamente il reddito ma intervengono complessivamente sulle persone”. Certo, ammette, “le soglie purtroppo non sono ancora sufficienti, ed è importante che la legge venga conosciuta: affidatevi alle associazioni, che sono già sul territorio”.
Marina Balestrieri della Cgil Emilia-Romagna apprezza la norma perché “si inserisce benissimo con il Patto per il lavoro, ha un collegamento qualificante con la legge 14 creando così uno strumento per provare ad avere una società più equa, è un provvedimento orizzontale che tiene insieme le politiche attive e quelle passive, non certo come la carta acquisti. E le risorse sono strutturali, di bilancio”. Allo stesso tempo però, avverte, “proporremo degli emendamenti: crediamo ci possano essere delle criticità tra Isee e nuclei familiari unipersonali, come lavoratori precari, pensionati sotto i 700 euro, residenti degli alloggi Erp, e inoltre bisognerebbe allargare il beneficio anche agli stranieri che hanno il permesso di lavoro da almeno un anno”.
Alberto Bellelli di Anci Welfare si è dichiarato soddisfatto perché “avevamo sottolineato delle esigenze, e le ritroviamo nel provvedimento: è uno strumento per completare l’universalità, che presta attenzione alla fascia grigia, alle nuove criticità sociali dovute alla crisi occupazionale”. Si tratta, sostiene, “di un percorso interessante e rivoluzionario, non a pioggia ma più legato al target, e che lascia qualcosa di più, ovvero un processo di rafforzamento della persona, rispetto a un aiuto economico per pagare bollette e affitto”. Tra le preoccupazioni, anticipa, “la necessità di un coordinamento forte dal punto di vista della tempistica, una comunicazione debole e il rischio di un impianto burocratico che finisca per appesantire le strutture di chi si occupa di welfare”.
Per la Cisl Emilia-Romagna, rappresentata da Maurizia Martinelli, “l’intervento normativo è da apprezzare, e con il regolamento si possono trovare soluzioni a molti dei problemi: resta troppa prescrittività sulle soglie, o si introducono delle regole o il rischio è quello di creare delle disparità profonde”. In ogni caso, chiarisce, “già il superamento del sistema a punti è molto positivo”.
Martina Masi dell’associazione “Come minimo un reddito”, che raccoglie numerose realtà attive nel sociale, chiarisce subito che “il reddito minimo non è questo, ma è importante che sia avvenuto un intervento strutturale, che stabilisce una soglia minimo che dia il diritto a un intervento pubblico. Mancano ancora diversi elementi per parlare di intervento universalistico, bisogna evitare discrezionalità, misure coercitive e restringimenti: la residenza minima deve essere di un anno, non oltre, è sufficiente per evitare il turismo sociale”.
(Jacopo Frenquellucci)