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Pur con la testa rasata e un numero sul braccio, ero una violoncellista
“Pur con la testa rasata e un numero sul braccio ero una violoncellista”. Lo scrisse Anita Lasker-Wallfisch, reduce dal campo di sterminino di Auschwitz nel suo libro. La musica non le aveva fatto perdere la sua identità. Al contrario, l’aveva aiutata a salvarsi. Non per tutti fu così.“La musica nei campi di concentramento scandiva i tempi di vita e di lavoro dei prigionieri e delle guardie. L’orchestrina era insieme testimone e vittima”. Lo racconta Moni Ovadia nel podcast insieme a Roberto Franchini, autore del libro “L’ultima nota”.